(Messaggio d’Oggi) – Delle testimonianze riportate in viva voce al convegno sui giornalisti minacciati di sabato 20 novembre, svoltosi al Liceo Classico di Benevento, quella che forse fa più riflettere è quella del giornalista autore de Le Iene Alessandro Migliaccio. Il giovane giornalista è diventato tristemente famoso (e raccontando la sua storia ci ha anche scherzato su con una comicità tutta partenopea) per aver ricevuto un bel “pacchero” in faccia dal comandante dei vigili urbani di Napoli, Luigi Sementa.
La sua colpa: avere scritto sul suo giornale (che ora ha chiuso i battenti) che il comandante usava il pugno duro su multe e traffico in tutta la città diventando poi un agnellino nel suo quartiere.
Al di là del caso e delle motivazioni di quello schiaffo in faccia, che rimane comunque ingiustificabile, il dato che deve farci riflettere si incentra tutto su una tematica dibattuta fin da secoli addietro e su cui si è scritto e detto in tutte le salse, senza però mai arrivare ad un punto di non ritorno: l’informazione di fronte al potere. Vittorio Alfieri scriveva nel suo “Del Principe e Delle Lettere”, addirittura prima della Rivoluzione Francese, che lo scrittore per essere veramente libero deve fregarsene del potere del principe, denunciando anche le sue malefatte anche a costo di andare incontro alla morte o al bavaglio, che all’epoca coincideva per lo più con pene corporali o appunto con la morte stessa. Ma quello che Alfieri è costretto ad affermare, pur nel suo inarrivabile ed affascinante idealismo romantico, è che lo scrittore (leggi il giornalista) per potersi permettere di guardare in faccia al potere senza temere alcunché né esserne plagiato, deve essere indipendente economicamente, avere un patrimonio, non essere costretto a chiedere nulla in cambio per la propria sopravvivenza.
Un discorso che, posto su queste basi, oggi è inattuale. Lo ha denunciato Rosaria Capacchione, come riportiamo in un altro articolo in pagina. Attraverso lo strumento vigliacco della richiesta di risarcimento danni che costa tantissimo, anche solo a resistervi in giudizio, si è inventato un modernissimo ed efficacissimo bavaglio per i giornalisti delle piccole redazioni.
Inutile parlare di giornalismo sotto minaccia e di informazione che deve essere libera se non si parte dalla crisi dell’editoria. Lo ha gridato con convinzione Mimmo Falco, vicepresidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania. La buona editoria, soprattutto al Sud, non c’è più. Bisogna arrangiarsi, aprire progetti editoriali con un fido o un prestito a perdere (quando si trova qualche banca disposta a concederli), mettere su una potenziale macchina da guerra (rigorosamente guerra “bianca” e leale) puntando su tutto ciò che si ha, e magari dopo pochi anni o mesi veder crollare tutto il castello di carte perchè non ci sono entrate sufficienti.
Da questo punto di vista, il Sannio è un’eccezione positiva, forse per la sempre altissima aspirazione a fare giornalismo che ha segnato i decenni del secolo scorso nelle nostre terre. Sono in numero importante i periodici nati qui e fondati in proprio dagli stessi direttori responsabili, e che vanno avanti con esperienze alterne ma con la resistenza incrollabile di sempre. Le colonne su cui scriviamo, quelle di Messaggio d’Oggi, rappresentano l’esempio più longevo di questo dato di fatto. Ma il rapporto con il potere, cui accennavamo, purtroppo non si vince solo con il tempo che passa.
Torniamo a Sementa ed al suo schiaffo: potrebbe mai accadere una cosa del genere qui da noi? I più ritengono di no, e lo pensano come fosse un’ovvietà.
E difatti probabilmente lo è, perchè qui nel Sannio gli “schiaffi” sono di altro genere e i “reati” che ne comportano la condanna non consistono nell’andare troppo a fondo nelle cose. Anche per indubbie colpe e responsabilità di alcuni colleghi, chi scava troppo non viene preso a schiaffi ma emarginato fin da subito.
Come? Con una bella etichetta lanciata in pasto all’opinione pubblica, per esempio. E finisce subito che chi aveva solo denunciato una disfunzione del sistema si ritrova ad avere affibbiata qualche tessera di partito, o qualche tornaconto personale.
I “reati” per i quali invece si rischiano sanzioni simili a quello schiaffo, sono altri nel Sannio del giornalismo. La colpa più grave è quella di non allinearsi, di non voler rispondere sempre e comunque alle chiamate del potere e dell’autorità. Dare fastidio ai potenti di turno, in fondo, rientra nel gioco. Lo sanno bene sia l’una parte che l’altra. Ciò che rompe gli schemi, qui da noi, è l’interruzione del dialogo, il fatto di non rispondere né sì né no alla chiamata delle pseudo-autorità.
È lì che si viene puniti, che si prendono gli schiaffi. Non in faccia e con le mani, però: schiaffi di altro tipo, come quando questa redazione e quella di Gazzetta di Benevento furono tagliate fuori dai comunicati ufficiali di un’iniziativa dell’Assessorato alla Cultura di questa Giunta, retto da Raffaele Del Vecchio. Lo stesso Del Vecchio che sabato mattina ha scelto di prendere la parola in difesa della libertà d’informazione in Italia.
Simone Aversano