“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”, così recita l’articolo 21 della Costituzione italiana. Ma nei fatti spesso queste restano soltanto belle parole. Sabato 20 novembre alle ore 10.45, nell’aula magna del Liceo Classico “P. Giannone”, si è tenuta la presentazione del secondo rapporto annuale di Ossigeno per l’informazione, osservatorio sui cronisti minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza. L’incontro, moderato da Billy Nuzzolillo, ha permesso di sottolineare gli aspetti dei numerosi modi in cui viene spesso ostacolato il lavoro dei giornalisti che non si fermano davanti alla paura data dai rischi che potrebbe implicare il pubblicare un determinato tipo di notizie.
Giornalisti coraggiosi, giornalisti come Giovanni Spampinato, ucciso nel 1972 a Ragusa, all’età di 26 anni, mentre portava avanti parallelamente due indagini: una sul delitto di un imprenditore e l’altra sull’attività di gruppi neofascisti in Sicilia, indagini che avrebbero portato a nomi dell’alta società ragusana. A raccontare la sua storia è stato il fratello Alberto, direttore di Ossigeno, il quale ha tra l’altro messo in evidenza la profonda etica che deve esserci nel mestiere del giornalista, paragonando quest’ultimo a un vigile del fuoco, che non può far finta di non vedere un incendio ma che, rischiando, deve andare ad affrontare le fiamme. Ma quest’etica non deve fare del giornalista un eroe, perché un giornalista che scrive scottanti verità, che va a fondo, è semplicemente una persona che fa bene il proprio mestiere.
Il giornalista non è un eroe, ma è un “umile cronista che sta in mezzo alla gente”, come si è definito Arnaldo Capezzuto, il quale ha inoltre raccontato le minacce subite dopo aver scritto di alcune situazioni riguardanti il quartiere napoletano di Forcella e in particolare il clan Giuliano. Ma diverso è se queste minacce, invece di provenire dall’ambiente criminale, vengono proprio da chi ricopre una carica istituzionale e dovrebbe promuovere la legalità, come il comandante dei vigili urbani di Napoli, Luigi Sementa, che schiaffeggiò il giornalista Alessandro Migliaccio, che aveva osato raccontare come il comandante usasse il pugno duro con gli altri quartieri napoletani, per poi chiudere un occhio, ma anche due, nel suo. L’aggressione, filmata da una telecamera nascosta, avvenne sotto gli occhi indifferenti di due giornalisti, che il giorno dopo non sprecarono una riga sull’accaduto. Migliaccio, autore de Le Iene, ha riportato altre due forme di intimidazione da lui ricevute. La prima riguarda un servizio sul caso di un prete pedofilo, a Poggioreale, che gli costò il parabrezza della macchina, rotto da una pietra durante il servizio. La seconda ha per protagonista il consorzio Unico, da cui fu querelato per aver fatto notare la truffa a danno di cittadini e turisti sui biglietti dell’autobus.
Ed è proprio la querela, oggi, uno dei modi più efficaci per intimidire un giornalista e bloccare la sua attività, soprattutto se questo lavora per un giornale piccolo. Ne ha parlato Rosaria Capacchione, giornalista del Mattino, autrice del libro “L’oro della camorra”, più volte finita nel mirino delle minacce del clan dei Casalesi e per questo costretta a vivere sotto scorta: “I grandi giornali hanno un ufficio legale, i piccoli no. E non tanto la querela, quanto la richiesta di risarcimento danni, è troppo pesante da sostenere. Per chi la fa non costa niente, per chi la subisce costa lavoro, tempo, avvocati, soldi che non sai dove vanno a finire. E intanto devi smettere di trattare quell’argomento”. “Spesso, quando fai un’inchiesta, scrivi nomi che non sono oggetto d’indagine ma che non per questo sono innocenti o estranei ai fatti. Arrivano le querele, arrivano le richieste di risarcimento danni. Ti mandano a chiamare, devi dare spiegazioni, fare relazioni e allora succede che prima di scrivere un articolo ci pensi e quei nomi non li scrivi. Non è il caso mio, ma per molti è così. E questa è una forma d’intimidazione peggiore di quella del signor Iovine che mi ferma alla Feltrinelli” perché “perdi il lavoro, perché ti licenziano, perdi la casa, e quindi perdi anche la vita”.
Storie queste che non sono estranee alla nostra città. Danila De Lucia, direttrice del Messaggio d’oggi, ha denunciato le molestie telefoniche e gli altri gesti intimidatori di cui è vittima da più di un anno, aggiungendo inoltre che pochi giorni fa ha ricevuto una minaccia di querela dal sindaco di un piccolo comune beneventano, per non avergli voluto indicare il nome di una fonte. Un grande rischio che corrono i giornalisti minacciati è quello dell’isolamento da parte dei colleghi e della società.
Occorre dunque stringersi intorno a loro e far fronte comune nella lotta all’abuso di potere e ad ogni forma di violenza, e non cadere mai nella tentazione di “apparare”, come venne chiesto a Migliaccio dal comandante dei vigili urbani, ma continuare a cercare e raccontare la verità.
Un messaggio di speranza quello lanciato da Mimmo Falco, vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania, che ha sottolineato i progressi fatti negli ultimi anni “Fino a venti anni fa non sarebbe stato possibile parlare in questo modo di legalità in una scuola”, invitandoci ad essere “fieri di essere beneventani, fieri di essere campani”.
Ed è proprio da questo sentimento di amore per la propria terra che nasce la lotta contro chi cerca di ridurla a suo parco giochi, contro chi la sporca, la lotta per la libertà.
Giulia Tesauro
FONTE: BCR MAGAZINE