di Billy Nuzzolillo
Il commento di una visitatrice sul caso Guarino mi offre lo spunto per meglio chiarire alcuni concetti. Pur condividendo sostanzialmente il giudizio su Lino Jannuzzi, continuo a ritenere che il suo caso sia emblematico, al pari di quelli relativi a Guareschi, Surace e Guarino.
La visitatrice, inoltre, giustamente ricorda che esiste una differenza netta tra critica e diffamazione. Nello stesso tempo va, però, anche osservato che nella stragrande maggioranza dei casi che vengono quotidianamente sottoposti al vaglio della magistratura è estremamente difficile stabilire un confine preciso tra critica e diffamazione. Vi sono, infatti, valutazioni diametralmente opposte nel corso dei vari gradi dello stesso giudizio o tra diversi tribunali. Per questo parlo, sia pure genericamente, di reati di opinione.
Altra questione posta dalla visitatrice è quella relativa alle polemiche che hanno accompagnato l’attività giornalistica di Guarino e la linea editoriale del Corriere di Caserta da lui diretto. Basti pensare al famigerato titolo “don Peppe Diana era un camorrista”.
Al di là di questi discutibili aspetti, credo che oggi il dato saliente sia però rappresentato dal fatto che Gianluigi Guarino è stato privato della libertà personale per un cumulo di pene relativo a reati commessi nello svolgimento della professione giornalistica, alcuni dei quali derivanti dall’omesso controllo in qualità di direttore responsabile.
Un aspetto, quest’ultimo, gravissimo, che chiama direttamente in causa la legge sulla stampa. Di qui l’invito alla mobilitazione per rivedere l’attuale legislazione. Come ha giustamente ricordato Giancristiano Desiderio in un recente intervento, ci troviamo di fronte ad una legge emanata durante il regime fascista. Le sue finalità erano, quindi, sostanzialmente di controllo della stampa.
Oggi appare, quindi, improrogabile una generale riforma della materia, anche alla luce della trasformazione avvenuta nei processi editoriali. Ve lo immaginate, ad esempio, il direttore di una testata locale meridionale che a mezzanotte controlla meticolosamente la miriade di articoli e notizie redatte nel corso della giornata, mentre dalla tipografia arriva l’ultimo sollecito utile per mandare in stampa il giornale? Oppure ve lo immaginate il direttore di una testata online, costretto a “validare” 24 ore su 24 gli scritti redatti dai propri giornalisti o collaboratori? Il tutto, poi, in giornali miracolosamente tenuti in piedi da giornalisti non contrattualizzati, sottopagati o “vessati” da editori che utilizzano i giornali per esercitare pressioni sui politici locali al fine di ottenere vantaggi; o da corrispondenti di paese che già rischiano di vedersi bruciata l’autovettura perché il delinquente locale gli attribuisce la paternità dell’articolo di cronaca senza firma (assolutamente da evitare), apparso sul giornale di cui sono corrispondenti?
Ben venga, quindi, la battaglia in nome della libertà di stampa che la categoria dei giornalisti sta portando avanti in queste ore per impedire l’approvazione della cosiddetta “legge bavaglio”. Ma, allo stesso tempo, è altrettanto importante partire dal caso Guarino per mobilitarsi “affinchè in Italia, cosi’ come in altri Paesi dell’Europa, per il reato di diffamazione a mezzo stampa si annulli la pena detentiva anche nel caso di somma di condanne. Ciò con particolare riguardo alla fattispecie in cui la condanna derivi dall’omesso controllo del contenuto degli articoli”, come hanno giustamente ribadito ieri anche Fnsi e Assostampa Napoletana.