di Giancristiano Desiderio
Nel giorno dello sciopero dei giornalisti contro la “legge bavaglio” e per la libertà d’ informazione è stato arrestato un cronista: Gianluigi Guarino, direttore del sito Casertace.net ed ex direttore de Il Sannio prima e de Il Giornale di Caserta poi. Sulla scia della battaglia civile per cambiare la legge sulle intercettazioni ci si sarebbe aspettati una diversa valutazione della privazione della libertà a Guarino: invece, il “caso Guarino”, fatta eccezione per l’attenzione che gli è dedicata dal sito Sanniopress.it e da alcuni siti casertani e dalla lodevole iniziativa di Vito Faenza, è tuttora sottovalutato e non sembra turbare la coscienza civile del giornalismo italiano. Solo qualche anno fa ci fu un caso molto simile che, però destò molta attenzione fino a chiedere e ottenere la grazia dal presidente della Repubblica: il “caso Iannuzzi”. Il “caso Guarino” non è equiparabile al “caso Iannuzzi”? Al contrario di quanto (non) si pensi sono molti i fatti che chiedono una equa e giusta valutazione dei due “casi” e dei due giornalisti e le differenze, che pur ci sono, sono tutte a vantaggio di Guarino.
Ricordo bene il caso di Lino Iannuzzi perché all’epoca, nel 2004, con Giordano Bruno Guerri all’Indipendente decidemmo di fare una campagna stampa in favore della libertà di Iannuzzi: lo Stato italiano non solo lo aveva condannato per diffamazione per alcuni articoli scritti quando era direttore de Il Giornale di Napoli, ma ne richiedeva l’immediato arresto. Pubblicammo ogni giorno per un mese un pezzo in prima pagina, ma il direttore potette permettersi di snobbare la nostra iniziativa perché riparò a Parigi. Con il tempo, molto veloce in verità, le cose cambiarono in suo favore: si mobilitò la politica e Carlo Azeglio Ciampi concesse la grazia, così Iannuzzi non entrò mai in carcere per i reati di diffamazione per i quali era stato condannato.
Gianluigi Guarino, invece, è già da una settimana rinchiuso nel carcere di Capodimonte a Benevento. Anche lui è stato condannato per reati di diffamazione. Mentre, però Iannuzzi scrisse di suo pugno gli articoli che gli vennero contestati, Guarino non ha scritto tutti i “pezzi” e risponde in qualità di direttore responsabile del Giornale di Caserta: una norma, questa della “oggettività”, sulla quale pur vale la pena spendere qualche osservazione dal momento che risale all’epoca del primo fascismo e fu voluta proprio per meglio controllare la stampa (quando andò in vigore, ad esempio, Benedetto Croce dovette lasciare la responsabilità della gerenza della sua rivista “La Critica” e si affidò al buon Francesco Flora che diede buona prova di sé come critico e come oppositore del regime mussoliniano). Tuttavia, se per Lino Iannuzzi si mobilitò la stampa e si mosse la politica fino ad ottenere la grazia dal capo dello Stato, per Guarino non si muove la stampa e la politica tace e ignora sovrana. Il “caso Guarino” è un caso di serie B mentre il “caso Iannuzzi” era un caso di serie A? Certo, Guarino non è Iannuzzi, ma tanto basta per ignorarlo e lasciarlo in galera per articoli che non ha scritto e per un reato molto opinabile come la diffamazione?
In realtà, c’è un altro elemento. Questo: come direttore de Il Giornale di Caserta Guarino ha fatto alcuni titoli che gli sono stati giustamente contestati e per i quali è entrato in polemica con Roberto Saviano. In particolare, Guarino titolò “Don Diana era camorrista”. Don Giuseppe Diana, come ha riconosciuto lo stesso Guarino, è stato una vittima della camorra e il titolo di Guarino – che qui nulla c’entra con le condanne passate in giudicato – fu sbagliato, scorretto, incivile. Ma proprio qui è il punto: si tende a credere che tutto sommato uno che ha fatto quel titolo è giusto che stia in galera. E invece no: perché democrazia e libertà significa proprio poter avere idee diverse e sbagliate. Le idee si combattono e confutano con le idee, non certo con la galera. Conosco personalmente Guarino per aver lavorato con lui a Il Sannio e so che l’unico suo sbaglio è stato quello di dedicarsi troppo al lavoro e di tralasciare la cura dei suoi affari personali. Se avesse avuto un editore degno del nome e un ufficio legale sul quale fare affidamento, ora Guarino non si troverebbe a Capodimonte. Il “caso Guarino” è proprio questo: non riguarda il singolo giornalista, ma lo stato dell’editoria meridionale. Guarino ne è una vittima, non un carnefice e i giornalisti campani che hanno scioperato in difesa della libertà di stampa hanno il dovere di difenderlo e chiederne senza infingimenti la grazia al presidente Napolitano e l’immediata scarcerazione perché la libertà di stampa al Sud è cosa diversa della libertà di stampa al Nord.