di Peppe Porcaro
C’è una storia mai raccontata che riguarda noi tutti, una storia negata, nascosta. Una storia da non divulgarsi, da tenersi ammucciata tra le rive del sabato e del Calore. Una storia che i più preferirebbero dimenticare, tanto la vergogna che si porta dietro. Una storia di ordinario sfruttamento e schiavitù andata in scena nelle campagne del beneventano fino agli anni 60 del secolo scorso, quando giovani fanciulli di sesso maschile, e in qualche caso anche i loro padri, venivano venduti agli agrari, notabili proprietari terrieri, per qualche sacco di grano e poche lire. Il prezzo veniva concordato nella centralissima piazza Orsini di Benevento, all’ombra delle macerie del Duomo fatto oggetto del bombardamento alleato. Tutto accadeva alla luce del sole,dunque. Sotto gli occhi della città ignava. Il 15 di agosto, giorno dedicato all’Assunta, le famiglie povere del contado beneventano portavano i loro figli sul candido marmo degli scalini del Duomo perché, acquistati dal Padrone, diventassero infine Valani. L’acquisto del Valano da parte del Padrone avveniva dietro un’attenta valutazione morfofunzionale del candidato: al malcapitato veniva richiesto di aprire la bocca perché si constatasse lo stato di salute. Poi il Padrone controllava spalle e gambe per sincerarsi della capacità del Ualano a sopportare lo sforzo fisico. Infine si pattuiva il prezzo, che per un anno di lavoro non andava oltre 2-3 quintali di grano e mille-duemila lire! I giovani valani così acquistati passavano, per un intero anno, nella piena disponibilità degli agrari il giorno 8 settembre, natività della vergine Maria non a caso Protettrice dei Ualani. Presso il padrone il valano si occupava in genere del lavoro in stalla e di ogni altra attività propria del calendario agricolo. Tornava il valano presso la sua famiglia per poche ore ogni 2-3 settimane per la cambiata, ossia per depositare panni sporchi e prenderne di puliti, quando c’erano. Per il resto ai giovani schiavi non restava che lavoro a servizio e sopraffazione, anche fisica, fino al 15 agosto successivo quando, tornati in piazza Orsini, ci si poteva ancora una volta vendere ad un nuovo padrone. E così via, di catena in catena. La città di Benevento, come detto, assisteva con ignavia al mercato dei Ualani. Per molti beneventani, in verità, il giorno dell’Assunta era un diversivo importante, un modo come un altro per godersi lo spettacolo. Ci volle la penna e la sensibilità dell’indimenticato Francesco “Ciccio” Romano per denunciare pubblicamente l’ignobile mercato. Romano pubblicò un primo articolo nel 1950 sul Secolo Nuovo (Uomini venduti in cambio di sacchi di grano) cui fecero seguito altri due articoli-denunce. Successivamente all’avvocato Francesco Romano dell’ignobile tratta si interessano Corrado Alvaro, Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini. Ci fu anche un’interrogazione parlamentare, nel 1952, a firma del socialista Luigi Renato Sansone. Grande scandalo per la pubblica esposizione di carne umana nel mercato di piazza Duomo Benevento. Ci si interrogò sulla stampa nazionale delle condizioni in cui versavano le popolazioni rurali nel Mezzogiorno. Poi i cambiamenti economici che investirono l’Italia del secondo dopoguerra (campagne comprese) posero fine alla tratta dei Ualani oggi in verità sostituita, in molte realtà agricole del Paese, dal vergognoso sfruttamento degli immigrati, soprattutto africani ma anche rumeni e indiani, i nuovi valani.
Quella dei Ualani, gli schiavi bambini, rischiava di essere una storia non raccontata, una storia persa. Dunque, una non storia. Ci ha pensato però una giovane studiosa sannita, Elisabetta Landi, a dare voce ai Ualani con la sua pregevole Tesi in storia moderna e contemporanea “Valani e Varzoni: la schiavitù nel beneventano nel secondo dopoguerra (1945-1960)”. Ora quel lavoro della Landi, liberamente adattato dalla Solot compagnia stabile di Benevento, è diventata un’opera teatrale e magistralmente rivive con le parole di Michelangelo Fetto e Tonino Intorcia e le musiche originali, eseguite dal vivo, dei Sancto Ianne chiamati pure a sostenere il ruolo del Coro recitante, come da migliore tradizione. Valani, questo il titolo, è andato in scena con gran successo al Mulino Pacifico il 20 e 21 marzo. Due sole serate per ricordare l’immane dramma che ha riguardato diverse centinaia di giovani Ualani e una fetta di storia della nostra città. L’augurio è che la città voglia ora riscattarsi da questa sua storia, vergognandosene quanto basta ma non nascondendola, come sua consuetudine. La si porti in giro nei teatri, dunque. Che se ne faccia un libro, e poi un altro ancora. E magari un film, perché no? Ma soprattutto, che qualche docente coraggioso, o forse soltanto curioso, ne parli a scuola a quei ragazzi che oggi hanno la stessa età dei Ualani di allora.