di Giancristiano Desiderio
Ieri c’erano i “professionisti della politica”, oggi ci sono i “dilettanti della politica”. La vicenda dei pasticci delle liste, dei timbri, delle firme è solo un sintomo, se non una mera casualità. Il vero dilettantismo è, invece, la radice stessa del Pdl. Oggi Gianfranco Fini, quasi parafrasando una nota frase del teatro di Eduardo, dice “Così com’è il Pdl non mi piace” e un deputato a lui molto vicino, Fabio Granata, rilascia un’intervista a MicroMega e sostiene apertamente che il governo potrebbe anche cadere. Dire che siamo alla resa dei conti è probabilmente una frase fatta, mentre sottolineare che un partito non si fabbrica, ma si fa – sì, proprio come dice la pubblicità del parmigiano – e che chi ha creduto di fabbricarlo con carte notarili e percentuali patrimoniali ha solo ubbidito o a una sua personale illusione ottica o a una bugia che, come al solito, dimostra adesso di avere le gambe corte. Il Pdl è dilettantismo che si è fatto partito e governo. Ma ve la ricordate la storia?
Silvio Berlusconi salì sul predellino dell’automobile a piazza San Babila e fece il partito. Sembrava una scena del tutto naturale e spontanea e il gesto del Cavaliere fu ricondotto a una delle sue geniali intuizioni comunicative che alla fine, però, non comunicano niente se non il niente. Lui aveva un’esigenza: costruire un partito grande per dimostrare ad elettori e a Walter Veltroni che il suo partito era più grande del Pd. Così per costruire un partito grande buttò all’aria quindici anni di storia e la possibilità concreta di fare un grande partito (faccio ricorso agli slogan pubblicitari perché nel caso di Berlusconi costituiscono in pratica un contrappasso dantesco). Pdl voleva semplicemente dire questo: Forza Italia, come una balena, ingoia anche An e diventa un partito grosso grosso. E quelli di An? E Fini? Tutti stettero al gioco e Fini, pur di togliersi dai piedi i berluscones del suo partito, si accodò recitando la parte del “co-fondatore”. Se pensiamo che Forza Italia non è mai stato un vero partito e che proprio An aveva in sé ancora qualcosa che poteva somigliare alla tradizione dei partiti radicati e con un po’ di spina dorsale territoriale e morale, allora, possiamo capire che il risultato del Pdl non poteva che essere un disastro annunciato: il partito – An – si scioglieva per farsi annettere dal non-partito: Forza Italia. Il resto lo sapete: il 70 per cento del quote condominiali andò a “quelli di Forza Italia” e il restante 30 per cento fu riconosciuto “a quelli di An”. E ora il presidente della Camera dice: “Così com’è il Pdl non mi piace”. Ben arrivato tra noi presidente, verrebbe da dire.
Eppure, dopo la scena madre di piazza San Babila ci fu chi sollevò la sensata obiezione che così non si fonda un partito, ma solo una compagnia pubblicitaria. Pier Ferdinando Casini, con i moderati e con liberal semplicemente si rifiutarono di affogare nell’indistinzione della mistica leaderistica del Cavaliare quindici anni di storia politica e nazionale che altro non chiedeva di veder nascere un grande partito nazionale sulla base delle idee e dei valori del popolarismo e del liberalismo. Il vero dilettantismo non è quello che ha travolto la storiella goffa e maldestra di Renata Polverini, ma il Pdl stesso che sulla base di furbizie e di calcoli stupidi ha addirittura negato la stessa tradizione del sano realismo italiano e buttato a mare il riassunto politico e spirituale di quindici anni di storia confusa e incerta – come tutta la storia di sempre – ma che pur ebbe l’ambizione di mettere a tema la democrazia dell’alternanza allargando i confini della Costituzione repubblicana e creando quel centrodestra senza il quale l’Italia repubblicana è costretta a continuare in eterno il giro dell’area di centrosinistra. Ecco, signori, questo è il vero dilettantismo che ci fa dire, ripetendo le parole di un uomo di un uomo di destra senza destra come Indro Montanelli, l’Italia non può che essere governata dal centro.
– TRATTO DAL QUOTIDIANO LIBERAL