di Giancristiano Desiderio
La chiamano riforma scolastica, ma non lo è. Propriamente è una riorganizzazione o ristrutturazione che ha anche i suoi utili cambiamenti come l’insegnamento maggiore della lingua straniera. Il principio che ispira questa riorganizzazione scolastica è quello dell’accorpamento in base a due grandi aree o categoria: quella dei licei e quella delle scuole industriali e professionali. La cosa buona di questa riorganizzazione è la fine della sperimentazione spinta – che in realtà non ha mai sperimentato nulla – e, in sostanza, il ritorno all’antica divisione di Gentile: da una parte la scuola umanistica e dall’altra la scuola tecnica. Scuserete la eccessiva semplificazione, ma la sostanza è proprio questa. Naturalmente, sia il ministro, sia il capo del governo, sia i ministeriali di viale Trastevere, sia i pedagogisti di Stato cercano di mascherare che la riforma è solo una riorganizzazione e che la fine della sperimentazione, che durava da 1969, è il ritorno all’antico, ma le cose stanno esattamente così. Del resto, quando si vuole fare una riforma della scuola si deve mettere mano agli esami di Stato, ma siccome qui gli esami di Stato non sono stati neanche sfiorati e tutto rimane invariato, di riforma scolastica non c’è traccia. C’è solo, come detto, una riorganizzazione attraverso gli accorpamenti e qualche singolo cambiamento. Ma allora – si dirà – hanno ragione i sindacati che dicono che si tratta solo di un’operazione di tagli economici e basta? Sì, hanno ragione i sindacati, ma con un’avvertenza: i tagli della riorganizzazione scolastica sono necessari per tentare di mantenere in piedi un sistema scolastico pan-statale che sta crollando sulle sue gambe perché il suo corpaccione è cresciuto troppo oltre misura.
Questo è il vero motivo della riorganizzazione che il ministro Gelmini, un po’ spaventata e un po’ eccitata dalla grande quantità di spostamenti, accorpamenti e riduzioni, chiama “riforma epocale”. La scuola italiana negli ultimi quarant’anni è cresciuta al di là delle sue stesse possibilità di crescita e, quindi, c’è da comprendere chi, riuscendo a bloccare la crescita abnorme, sente di aver fatto un’impresa erculea e la definisce “riforma epocale”. Comprensibile, ma inesatto. La scuola, infatti, non è riformata perché non acquista nessuna nuova forma (la parola “riforma” significa questo: nuova forma). La classica distinzione tra “classico” e “tecnico-professionale” rimane identica e anzi è rafforzata, sia pure con il ricorso a una liceizzazione dei professionali e, di conseguenza, a una professionalizzazione dei licei. E’ un modo come un altro per controllare un sistema che è da molto tempo scappato di mano allo stesso ministero. I sindacati gridano, criticano, manifestano e si organizzano, ma la verità è che dovrebbero ringraziare: il principale alleato del sindacato è proprio il ministero che con questo giro di vite altro non sta facendo che confermare la logica della “scuola napoleonica” rimandando più in là nel tempo l’appuntamento con il collasso finale.