di Peppe Porcaro
I recenti violenti fatti di Rosarno hanno riacceso i riflettori sullo sfruttamento (più appropriato sarebbe però chiamarlo riduzione in schiavitù) che interessa in particolare il mondo agricolo, o meglio alcune realtà ad agricoltura intensiva del nostro Paese che periodicamente, ma da anni e nell’ignavia dei poteri politici locali e nazionali, fanno ricorso allo sfruttamento stagionale del lavoro di immigrati, meglio se non regolari, per la raccolta degli agrumi (Calabria e Sicilia), pomodori (Puglia), ortaggi (Campania). Le condizioni di vita e di lavoro in cui sono costretti questi giovani maschi provenienti perlopiù da Paesi africani sono indegne di un Paese che voglia dirsi civile. Naturalmente tutti sanno, naturalmente nessuno interviene. Almeno fino a quando non ci scappa il morto e allora non è più questione di civiltà ma ”solo” di ordine pubblico.
Meno noto è invece un fenomeno che da qualche anno interessa direttamente quei Paesi africani da cui proviene questa massa di nuovi schiavi. Secondo l’International Institute for Environmental and Development, è in atto da tempo in diversi paesi africani un pericoloso fenomeno detto “land grabbing”: diversi milioni di ettari di terra sono stati venduti o affittati con contratti a lungo termine a investitori stranieri. Spesso si tratta di acquisti posti in essere addirittura da Stati nazionali, oltre che da multinazionali pronti ad accaparrarsi, con modica spesa, la biodiversità ivi esistente. Milioni di ettari di terra praticamente vergine che di un solo colpo passa dalla disponibilità delle popolazioni locali all’utilizzo (im)proprio di Paesi stranieri. E’ questo un fenomeno recente sviluppatosi negli ultimi dieci anni ma in pericolosa e costante crescita:nel mercato globale trovi sempre uno stato o una multinazionale pronta d investire e, del pari, uno governo nazionale, meglio qualche signorotto della guerra, pronto a (s)vendere qualcosa che non è suo ma delle popolazioni locali che si ritrovano di fatto, da un giorno all’altro, sfrattati dalle loro terre. Buon ultima è arrivata l’Etiopia pronta a mettere sul mercato 3 milioni di ettari da offrire a quei Paesi occidentali (e alle loro multinazionali) che dell’uso della terra, la loro terra, ne hanno fatto negli decenni una pessima gestione. Naturalmente il “land grabbing” non è un’operazione indolore, innanzitutto per le popolazioni locali defraudate di un bene, la terra, che per molti è l’unica occasione di sviluppo. E venendo meno finanche questa minima opportunità non resta che l’emigrazione (naturalmente clandestina e illegale), per ritrovarsi magari ridotti in schiavitù a raccogliere pomodori o arance. Ma guarda un po’…