di Giancristiano Desiderio
Quando sento qualcuno lagnarsi del “liberismo selvaggio” o prendersela con il mercato ingiusto e, naturalmente, dire con cipiglio spropositi sul capitalismo che erano già vecchi e falsi al tempo di re Carlo, ossia di Marx, mi viene in mente quanto faceva e diceva Lucio Colletti se gli nominavi Walter Veltroni: si tastava il petto, si frugava le tasche della giacca e diceva. “Guardo se ho una pistola”. Povero Veltroni, che campi cent’anni e più; ma in quel caso il suo nome era l’evocazione stessa della retorica, del luogo comune che, signora mia, non sapendo cosa dire dice peste e corna del liberismo o, peggio, del neoliberismo che è l’origine di tutti i mali, sicuramente delle diseguaglianze perché concentra la ricchezza nelle mani di pochi e condanna alla povertà la povera gente. Quest’ultima cosa, ad esempio, non l’avete sentita tante di quelle volte da saperla ormai a memoria? Eppure, è falsa perché nel 2015 la percentuale della popolazione mondiale che vive in condizioni di povertà assoluta è calata per la prima volta al di sotto del 10 per cento. Come è possibile? Semplice. Sarà accaduto nonostante il neoliberismo perché è semplicemente impossibile che la povertà scenda grazie alla libertà di mercato e tutti sanno che solo lo Stato, il governo e il reddito di cittadinanza potranno abolire la povertà.
Non c’è schifezza, stortura o bruttura che non sia stata addossata al neoliberismo. Lo nota, sottolinea e spiega molto bene Alberto Mingardi nel libro La verità, vi prego, sul neoliberismo (Marsilio). Qualche esempio citando qualche titolo: Sessismo democratico. L’uso strumentale delle donne nel neoliberismo, come Il neoliberismo sterminò la mia generazione e Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista. Ma una volta presa la mano si può andare a oltranza: La nuova caccia alle streghe al tempo del neoliberismo; Come ci ha ridotti il neoliberismo; Miseria del neoliberismo. Continuate voi trasformando il neoliberismo nel rifugio dei peccati del mondo o nel capro espiatorio nazionale e mondiale ad uso e consumo dei risentiti della terra e degli intellettuali senza intelletto e così magari alla fine vi porrete la seguente domanda: non sarà un po’ troppo per quello che alla fine altro non è che la possibilità necessaria di calcolare i prezzi dei beni?
Il libro di Mingardi inizia con una frase posta in esergo. E’ di Vilfredo Pareto e dice: “Quando qualche storico imprenderà, nel futuro, di narrare la miseria degli anni presenti, è pregato di non darne la colpa alla libera concorrenza, perché, quella libera concorrenza, gli italiani non sanno nemmeno dove stia di casa. Sarà, se si vuole, cosa pessima e malvagia, ma infine non si può a essa dar colpa di quei mali che seguono dove essa non esiste”. La frase risale al 1897 ma si attaglia benissimo ai giorni nostri. L’Italia è, infatti, quel paesello in cui la spesa pubblica è al 48,9 per cento del Pil, mentre la pressione fiscale è al 43 per cento e in queste condizioni gli italiani – come diceva Pareto – il neoliberismo non sanno nemmeno dove stia di casa. Se poi qualcuno decidesse di rifare il pavimento proprio a casa sua o di allargare un po’ il bagno, beh, dovrebbe prima avventurarsi nella foresta della sua amministrazione municipale con permessi, regolamenti, carte, bolli e senza sapere né leggere né scrivere vedrebbe anche lievitare un bel po’ i costi dei lavori nella sua incerta proprietà con prezzi che non tarderanno ad essere fuori mercato proprio perché sottratti con la manona pubblica alla concorrenza della inesistente più che invisibile mano del mercato.
Eppure, la leggenda nera del neoliberismo permane oltre ogni evidenza. Anzi, più la realtà rivela la sua anima e il suo corpo statalisti e più si fa ricorso alla leggenda. Come vi fosse un problema culturale. Siamo pur sempre il paese della distinzione tra liberismo e liberalismo e della celebre polemica tra Einaudi e Croce. Sennonché, quella famosa disputa, che il più delle volte è usata per confondere le menti e svalutare le libertà economiche a favore dell’intervento statale, non diminuisce la libertà ma l’aumenta e l’utile momento economico è riconosciuto nella sua necessità che se non ci fosse andrebbe inventata per garantire possibilità di crescita ed emancipazione. Non ci troviamo, forse, in questa situazione?
A ben vedere la leggenda nera del liberismo ha la sua origine, in Italia, nel crollo repentino della Prima repubblica che, come spesso e volentieri accade in Italia, vide la scomparsa di partiti storici e l’improvvisa nascita di liberali. I liberali, che erano soliti fare il loro congresso in una cabina telefonica, si moltiplicarono fino al punto in cui tutti divennero liberali. Ma una cosa è dirsi liberali e altra cosa esserlo. E una cosa è essere liberali e altra cosa vivere, studiare e lavorare in un paese liberale. Dubito che siamo stati tutti liberali mentre so per certo che siamo stati e siamo tuttora un paese che crede nell’irrealtà del socialismo reale. La “rivoluzione liberale” di Berlusconi non è stata mai fatta ma è questo il tempo in cui gli slogan sono più reali della realtà e così ripeti oggi e ripeti domani si è finito con credere ad una rivoluzione inesistente e quando è sopraggiunta la Crisi si sono riaffermate proprio le parole d’ordine del socialismo e del protezionismo e dello statalismo che hanno additato nell’inesistente neoliberismo la causa di tutti i mali che, invece, hanno origine proprio lì dove non vi sono state riforme in grado di mettere il nostro paese all’altezza di un mondo dal quale, lo si voglia o no, non ci si può sfilare, come non ci si sfila dalla propria pelle. Così ancora una volta l’eccesso di Stato è visto dagli Italiani come un riparo o la salvezza mentre è la malattia da cui guarire.