di Gennaro Malgieri
Con un ampio consenso parlamentare – grillini e leghisti -, l’ ovvio dissenso delle opposizioni e, soprattutto, l’ avversione di magistrati, avvocati, giuristi, Consiglio superiore della magistratura, la cosiddetta legge “anticorruzione”, voluta dal governo, è stata approvata. Tra le numerose incongruenze (ed usiamo un eufemismo), vi è l’abolizione di fatto, mascherata da allungamenti ed arzigogoli che la vanificano, della prescrizione. Sicché un imputato potrà esserlo per sempre, posto che la durata media dei processi è di circa un decennio con le regole vigenti, figuriamoci quanto durerà senza la mannaia del “decesso del processo” costituita appunto dalla prescrizione, un istituto antico e civile che mette praticamente la magistratura in mora sollecitandola a decidere nel merito nei tre gradi di giudizio in tempi ragionevoli. Un altro tassello dello Stato di diritto è andato a farsi benedire.
All’esito del voto, i deputati pentastellati (non seguiti dai leghisti, forse per un residuo di pudore) hanno inscenato la solita manifestazione, seguiti dai solerti portaborse, per le viuzze adiacenti Montecitorio, agitando improvvisati cartelli su molti dei quali era scritto “Bye bye corruzione”. Il solito modo per far sapere che, con un semplice voto parlamentare, avevano, niente di meno, abolito la corruzione.
Così come, nel settembre scorso, all’atto di presentare la più ridicola e sconclusionata manovra economica, i maggiorenti grillini si erano affacciati dal balcone di Palazzo Chigi gridando alle plebi immaginarie (infatti c’erano i soliti quattro addetti alla manutenzione del movimento ad ascoltarli) che avevano finalmente – roba da far impallidire imperatori, monarchi e dittatori, oltre a satrapi comunisti e miti leader liberali – “abolito la povertà”. Ci provò perfino Gesù Cristo duemila anni fa, ma il miracolo che non riuscì al figlio di Dio, era riuscito a Di Maio e compagni. Lo stesso Di Maio che poco dopo, sempre con quel sorrisetto stampato in faccia (tranne nei giorni bui dell’affaire familiare di Mariglianella), annunciò urbi et orbi l’abolizione del precariato, grazie all’approvazione del cosiddetto “decreto dignità”. Peccato – ma non sembrò turbarsi granché – che l’Istat certificò, poco dopo, che la precarietà era aumentata, mentre i governanti gialloverdi incuranti dei dati gioivano.
Da un decreto all’altro, anche Matteo Salvini, ministro di polizia, per sua stessa ammissione (il che la dice lunga sulla considerazione del ruolo di ministro dell’Interno: neppure Giolitti arrivò a tanto), ha avuto modo di prendersi la propria fetta di gloria dopo i bagliori estivi suscitati dalla vigorosa opposizione agli sbarchi degli immigrati. Con il “decreto sicurezza” – ma c’è qualcosa che in questo Paese il Parlamento riesce a fare, oltre a ratificare quanto viene deciso a Palazzo Chigi? E poi dice che la democrazia rappresentativa è in crisi…- promise l’abolizione della clandestinità. Malauguratamente, dopo aver smantellato strutture comunali di integrazione, come quella di Riace, sembra che la clandestinità non sia stata affatto battuta, né messa “in sicurezza”, riecheggiando il titolo del provvedimento.
Per il resto, se il ministro leggesse le cronache locali dei giornali, scoprirebbe che non passa giorno senza rapine, furti, irruzioni nelle private abitazioni e perfino nei pubblici uffici (pochi giorni fa nel centro vaccinale di Benevento) da parte di bande che spesso utilizzano metodi da “Arancia meccanica” per terrorizzare inermi cittadini a tutte le ore del giorno, dal Nord al Sud. Cresce il bullismo e diventa più sofisticato: si chiama cyberbullismo che induce ragazzini a non sopportare angherie fino al punto di suicidarsi come ha fatto la quattordicenne Carolina Picchio, lanciatasi dalla finestra nel 2013 ed i suoi persecutori ieri hanno ottenuto la dichiarazione di “estinzione del reato”. Il ministro Salvini, naturalmente, non c’entra niente con tutto questo e deplora episodi criminali del genere, ma sarebbe bene che si astenesse dall’incontrare tifosi milanisti (sic.) non proprio in odore di galantomismo tanto per non dare la stura a polemiche certamente pretestuose.
Resta il fatto che l’Italia è un Paese insicuro, immune finora da attacchi terroristici, ma certamente spaventato dalla delinquenza comune, ossessionato dalla percezione dell’assenza dello Stato. Se i delinquenti svaligiano perfino l’appartamento degli ex-suoceri di Salvini, vuol dire che non hanno paura di niente ed invece dovrebbero averla, con o senza “decreto sicurezza”.
Ma la buona notizia che attendevamo con trepidazione, dopo tre mesi di angoscia, mentre lo spread saliva e scendeva ed i risparmi degli italiani scendevano e basta, è arrivata dalle comunicazioni del presidente del Consiglio Conte al Senato. Ufficialmente ha reso noto che il “governo del popolo” ha varato l’agognata manovra economica. Il balletto con l’Europa è finito. Gli arcigni commissari di Bruxelles hanno ceduto. Insomma, tra le tante abolizioni, è arrivata quella più significativa: l’abolizione dei diktat europei.
Gioia incontenibile dei gialloverdi. Ma noi – come tanti italiani – abbiamo buona memoria. Salvini e Di Maio non avevano dichiarato per mesi che i loro “numeretti” non sarebbero stati stravolti? Che il 2,4% di deficit e l’1,5% di crescita non sarebbero stati messi in discussione da Juncker, Moscovici, Dombrovskijs? Che gli euroburocrati avrebbero ricevuto dall’Italia una indimenticabile lezione? Ebbene, i numeretti sono stati significativamente modificati; il reddito di cittadinanza è sbiadito come un sole opaco d’autunno , mentre sulla “quota 100” c’è tanta incertezza da non capirci granché e la flat tax è sparita dall’orizzonte della finanziaria. Insomma, uno “scarico” di dieci miliardi di euro in meno rispetto a quanto previsto: questo l’accordo con l’Europa per evitare la procedura d’infrazione.
Insomma, Conte, Di Maio e Salvini la legge di Stabilità se la sono fatta dettare da Bruxelles, alla faccia del sovranismo e del “governo del popolo”. Con l’aggravante della “condizionale”. Tra qualche settimana, infatti, ricomincerà il balletto delle verifiche della Commissione europea sui conti pubblici e sull’attuazione di quanto pattuito. L’Italia è libera dai lacci e lacciuoli comunitari, per quanto la libertà sia vigilata.
I dioscuri gialloverdi sono contenti? Abbiamo il sospetto che non lo siano. Accanto a Conte nessuno dei due era presente in Senato. Curioso, dopo tanta fatica non condividere un successo del genere. Per di più il presidente del Consiglio, considerato finora non più che un portavoce, ha poi dato atto al capo dello Stato di essersi adoperato per la buona riuscita dell’operazione. Il capo dello Stato è Mattarella, ovvio, al quale pentastellati e leghisti guardavano con ostilità: non abbiamo dimenticato le parole di Di Maio nei giorni della trattativa per la formazione del governo e la scarsa simpatia di Salvini per il Quirinale…
No, non poteva essere felice il leader leghista che aveva giurato che “non si sarebbe calato le braghe” di fronte all’Europa; non poteva essere felice neppure Di Maio che forse si è accorto che l’abolizione della povertà sarà per un’altra volta, posto che per il reddito di cittadinanza resteranno briciole dal magro bilancio: com’è lontano quel 27 settembre, data fatidica ed infausta. Non si riaffaccerà il capo politico del M5S dal balcone di Palazzo Chigi per annunciare la “ritirata”.
Ma l’Italia è sovrana. Lo era anche prima che arrivassero Salvini e Di Maio. Ai quali vorremmo sommessamente ricordare la lezione greca. Mentre loro piegavano mestamente il capo, il Parlamento di Atene, dopo quasi dieci anni di sofferente austerità, dignitosamente vissuta, ha approvato il primo bilancio senza aiuti internazionali, con una previsione di crescita del 2,5% nel 2019, superiore alla media dell’Eurozona.
La Grecia si è sentita sovrana anche quando tutto congiurava contro di essa. Perché la sovranità è una condizione culturale, prima che politica. Una questione di mentalità. E non prevede l’accattonaggio di Stato.