di Alessandro Liverini
Quattro anni fa moriva a Napoli Antonio Guarino, il temibile professore «Guaro». Era nato cento anni prima nella «Cerreto Sannite» (come allora ufficialmente si chiamava) di Antonio Venditti e di Giuseppe D’Andrea, nel tempo in cui iniziava la dissoluzione dell’Italia liberale. Trasferitosi giovanissimo a Milano coi genitori, dedicò tutta la sua esistenza allo studio e alla pratica del diritto. Insegnò diritto romano a Catania e a Napoli. Fu avvocato, magistrato e giornalista. Nella settima legislatura repubblicana fu senatore e aderì al gruppo parlamentare Sinistra indipendente, guidato da Ferruccio Parri. Sposò la figlia del romanista Vincenzo Arangio-Ruiz, che fu tra i firmatari, nel 1925, del Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. Andava orgoglioso del suo essere per metà napoletano e per metà sannita. E ne diede rigorosa e nitida prova quando scelse di intitolare a Labeone la rivista di studi romanistici che fondò presso l’istituto di diritto romano dell’ateneo napoletano nel 1955. Labeo: rassegna di diritto romano è stata pubblicata fino al 2004, ma è ancora oggi un punto di riferimento per gli studiosi di diritto romano di tutto il mondo.
Nella presentazione del periodico Antonio Guarino scrisse che «il motivo per cui si è pensato […] alla figura di Marco Antisito Labeone […] è connesso con una precisa e modesta indicazione locale. Labeone fu, a molti sfugge, un meridionale, di famiglia sannita, nativo di Ligures Bebiani, che è quanto dire i dintorni dell’odierna Benevento». Ed aggiunse: «In Labeone osiamo ravvisare […] alcune intime caratteristiche ancor vive, anzi più vive che mai, del giurista e dell’uomo di studi meridionale». Guarino puntò sulla forza evocativa della vita di Labeone per dare impulso alla costruzione di una vera e propria scuola giuridica partenopea. Si trattò di un’audace impresa di radicamento identitario e, al contempo, di potente apertura culturale. Non di campanilismo sterile, ma di slancio vitalistico e internazionalistico. D’altronde la tradizione di studi moderni su Labeone era stata avviata dal tedesco Alfred Pernice, nel 1873, con Marcus Antistius Labeo. Das römische Privatrecht im ersten Jahrhunderte der Kaiserzeit.
Marco Antistio Labeone visse al tempo di Cristo, nel mezzo della grande frattura storica del passaggio dalla repubblica al principato di Ottaviano. Appartenne alla celebre stirpe dei Ligures Bebiani: quarantamila uomini e donne deportati in massa dal console Gneo Bebio Tamfilo nel 180 a.C. dalla Liguria in un ager publicus espropriato dai romani ai sanniti un secolo prima. Si tratta di un sito ricompreso nell’area geografica della odierna Circello. Sposò Nerazia di Sepino e fu allievo di Trebazio Testa, giurista originario di Velia, l’antica Elea, sede della scuola filosofica di Parmenide. Da questi apprese il diritto e la filosofia greca. Trebazio Testa era, infatti, amico intimo di Cicerone, dal quale ebbe dedicati i Topica ed alcune celebri lettere in cui gli fu suggerito di non vendere le sue proprietà veliensi.
Labeone fu, come Guarino, teorico e pratico del diritto. Sei mesi all’anno li passava a Roma ad esercitare le funzioni giurisdizionali di praetor e di consulente e gli altri sei mesi li trascorreva nella sua terra natia – la valle del Tammaro – per studiare e scrivere libri. Come Guarino fondò una scuola giuridica, la celebre scuola proculiana. È considerato il pioniere della tradizione occidentale del diritto naturale, nonché l’importatore di nozioni filosofiche nel campo del diritto. Come, ad esempio, il sinallagma aristotelico, innestato prolificamente sul terreno giuridico, fino a divenire il fondamento della moderna teoria del contratto. Guarino vide in Labeone il vero interprete della libertà, il pensatore non asservito al potere. E non solo e non tanto per le sue parole, quanto per la coerenza del suo esempio quotidiano. Il rifiuto del consolato propostogli da Ottaviano gli costò un pesantissimo isolamento.
Le vite parallele di questi due grandi giuristi sanniti parlano una lingua universale ed enunciano regole di vita quotidiana: passione per il lavoro; riluttanza al potere; radicamento territoriale.
Il governo cinese ha deciso di recente di utilizzare i pilastri della tradizione giuridica romanistica per realizzare una epocale opera di codificazione del diritto. Una intera generazione di studiosi cinesi sta costruendo relazioni molto intense con l’Italia.
Forse il nostro Sannio, se rifiutasse la logica dell’orticello e la retorica insulsa e vuota del marketing territoriale, avrebbe ancora qualcosa da dire a livello globale.