di Giancristiano Desiderio
Siamo un paese insicuro. Perché? Perché ricerchiamo in maniera ossessiva la sicurezza. Sembra un paradosso, lo è, ma un paradosso è solo la verità che fa le capriole. Più ricerchiamo maniacalmente la sicurezza e più scopriamo di essere un paese insicuro. Infatti, la sicurezza che ricerchiamo non è quella che nasce dal lavoro quotidiano, costante, manutentivo bensì quella mitica, totale, metafisica che una volta conquistata ci fa sentire al sicuro per sempre. Ma una sicurezza di questo tipo non esiste da nessuna parte se non al cimitero. Nel quale, difatti, regolarmente ci ritroviamo a seppellire i nostri morti civili e con loro anche le nostre colpe e responsabilità che preferiamo non vedere in omaggio, ancora una volta, ad una più comoda “uscita di sicurezza” individuando un bel capro espiatorio – un uomo, un’azienda, una legge, un governo, un partito, un passato – con cui esercitare la violenza collettiva e bruciare, come su un altare di un maligno dio ignoto, passioni e rabbia in attesa della prossima strage quando nuovamente il mito della sicurezza cederà di schianto uccidendo chi avrebbe dovuto proteggere.
Il Ponte Morandi stava lì da cinquant’anni e cinquant’anni sono pochi ma sono tanti per chi lo guardava, lo percorreva, ci viveva e lo considerava semplicemente come eterno. Le cose – una casa, un monumento, una strada – vivono e durano più di noi ed è, forse, la precarietà della nostra esistenza che ci induce a concepirle come eterne. Quando, poi, tutto vien giù, a meraviglia subentra meraviglia semplicemente perché non si pensava alla fine delle cose che, invece, finiscono. Deve essere qui, in questo punto preciso della nostra coscienza, che nasce il convincimento di assegnare allo Stato la sicurezza totale delle nostre vite che passano ponti, solcano mari, attraversano cieli, frequentano scuole, visitano ospedali, usano mercati. Chi ci salverà se non lo Stato?
Tuttavia, dentro questa parola, Stato, che esprime un senso di staticità e stabilità fin dal nome, non c’è niente. Lo Stato nella sua concretezza altro non è che le azioni dei singoli uomini che svolgendo i loro compiti nei luoghi e nei tempi più disparati sono fallibili come tutti gli altri uomini. L’unica qualità che si può riconoscere allo Stato è il monopolio o la delega o il sequestro della violenza – la stessa violenza esercitata sul capro espiatorio – al fine di assicurare la pace sociale ossia, ancora una volta, la sicurezza. Sarà questo atto di forza che c’è nel fondo della vita statale ad indurci in tentazione, contrariamente a quanto pensa Bergoglio, ed a credere di poter attribuire alla mondana potenza dello Stato altre funzioni per ottenere sicurezza. Così lo Stato da parola laica diventa parola magica e usandola si può dare la sensazione, a sua volta agevolata dai nostri alibi e dal nostro rancore, di risolvere ogni problema. Nasce da qui la politica dello statalismo o, come si è ripreso a dire oggi, delle nazionalizzazioni.
Costa sofferenza dirlo, ma una cultura politica che attribuisce allo Stato non solo il monopolio della forza ma anche il monopolio della verità, che tra tutti i monopoli è il più insano e il più ridicolo, è una cultura marcia. E’ necessario il coraggio di pensare contro il proprio tempo e dire con chiarezza che la sicurezza totale è un mito pericoloso e metterlo in capo allo Stato significa aumentare esponenzialmente il rischio perché al danno dell’insicurezza si aggiunge la beffa della menzogna. Le nazionalizzazioni, di qualunque cosa, sono sempre una scelta sbagliata perché non possono in alcun modo garantire ciò che indebitamente promettono requisendo alle forze umane e sociali quella libertà d’azione che esercitata con scrupolo nella quotidianità delle opere e dei giorni è la nostra unica possibilità di salvezza o, meglio, di decenza.
Lo statalismo o la nazionalizzazione è il nemico delle nostre libertà e dello stesso Stato che si snatura nella sua funzione e nei suoi compiti. E’ una scorciatoia che come tutte le scorciatoie porta fuori strada. La scorciatoia statalista promette ciò che non può e non deve: avrete una vita sicura senza sacrifici perché il lavoro lo faremo noi al vostro posto. Non veniamo, forse, noi fuori male, molto male e a gran fatica, da una lunghissima stagione di statalismo in cui lo Stato era padrone di tutto? I guasti di oggi sono il frutto delle scelte sbagliate di ieri e non è passando da un monopolio all’altro, da quello statale a quello privato e da quello privato a quello statale, che si risolvono i guasti e si superano i mali. Invece, è evitando i monopoli – che monopolizzano ciò che non si può, soprattutto la conoscenza – che si superano le crisi perché si recuperano forze e risorse umane che il mito e l’alibi della sicurezza metafisica spreca e sacrifica sull’altare della propria inevitabile inefficienza.