di Giancristiano Desiderio
Da un lato la procura di Benevento lo mette in stato d’accusa, dall’altro la prefettura chiude i centri d’accoglienza di Maleventum e nottetempo trasferisce gli immigrati altrove. Così il profilo umano e professionale di Paolo Di Donato, che ha lavorato con enti istituzionali non per due giorni ma per venti anni, diventa quello di un mostriciattolo con cui si possono giustificare le emergenze di ieri e le deportazioni di oggi. Però, in tanta avvedutezza e buongoverno, non si è messo in conto il colpo di scena: le proteste degli immigrati che con una delegazione, della quale facevano parte anche Gianluca Aceto e Gianluca Serafini, si sono recati in prefettura e hanno detto con chiarezza “vogliamo rimanere nei centri Damasco”. Visto che nel Sannio si fa solo dello sterile moralismo e il giornalismo da velina è spacciato per giornalismo d’inchiesta, sono stati gli stessi immigrati ad organizzarsi e rappresentare se stessi facendo emergere fatti e verità: nei centri Damasco non stanno così male come è stato riferito. La protesta viene da Castelvenere e il centro di accoglienza di quel paese è un residence di nuova e buona fattura. Ma simili fatti ci sono stati anche a Sant’Agata dei Goti, ad Airola, a Montesarchio.
Il sindaco di Airola, Michele Napoletano, ha avuto da ridire sul modo in cui gli immigrati sono stati trasferiti altrove: “Non hanno dato la possibilità al sindaco di salutare questi ragazzi. Li hanno trasferiti questa mattina, di buon’ora, senza nemmeno dare l’opportunità a me, quale istituzione, di augurare loro buona fortuna”. Il sindaco ha poi ricordato che nel centro Damasco di Airola “abbiamo loro dedicato corsi di lingua, di teatro e di musica. Abbiamo preparato, con due consigli comunali aperti, i cittadini al loro arrivo e la gente ha compreso”. Il primo cittadino di Airola ha sottolineato che “l’accoglienza non si fa così, non si fa carico e scarico. Serve condivisione”. Alla testimonianza del sindaco del paese caudino se ne potrebbero aggiungere altre, in particolare di insegnanti, maestre, psicologhe che hanno lavorato con gli immigrati instaurando un buon rapporto umano che ha anche condotto all’integrazione e alla permanenza in paese di alcuni immigrati che hanno trovato lavoro e famiglia. Ma sono le parole del sindaco che ci permettono di entrare in questa storia e raccontarla per ciò che è: una storia umana, umanissima che come tutte le storie in cui si fa e si opera è imperfetta, è piena di errori ma vivaddio è viva, esiste, è frutto di sforzi, di fantasia, di ingegno, di passioni e di buona volontà che di per sé è quella volontà operosa e perfino peccaminosa che mette da parte chi si impanca con il ditino alzato e la puzza sotto il naso e con fare da leguleio e da signor Tartufo fa la morale agli altri. Questa storia viva chiedeva di essere migliorata. Invece, è stata distrutta. In questa vicenda è tutto il Sannio, dalle istituzioni ai politici ai giornalisti, che ha fatto un pessima figura. E, a conti fatti, chi ne esce meglio è proprio chi sta ancora dentro contro ogni regola di civiltà del diritto: Paolo Di Donato. Alla fine, visto che i sanniti – per conformismo, per paura, per invidia – non lo hanno difeso, sono stati proprio gli immigrati, quelli che lui avrebbe sfruttato, a difenderlo dandogli il miglior riconoscimento umano e morale a cui potesse aspirare.
Io in questa storia sono un apota: non me la bevo. Non me la bevo perché lo Stato, nelle sue varie espressioni istituzionali, ha fatto una pessima figura e ci viene a raccontare la storiella che è tutta colpa del “re dei migranti”. Se il Sannio vuole imparare davvero qualcosa da questa storia, allora, inizi con raccontare bene le cose a se stesso usando il giudizio critico, evidenziando i fatti, citando prove e non facendo coincidere il proprio giudizio storico e morale con gli atti d’indagine della procura. Una comunità che modella il proprio senso morale sugli atti della procura è una comunità miope e minore che vive, nel migliore dei modi, nel conformismo. Non è necessario essere delle aquile per vedere che gli atti giudiziari e l’azione prefettizia sono tra loro in contraddizione. I centri Damasco sono stati chiusi e gli immigrati trasferiti – deportati – altrove con la giustificazione del sovraffollamento. La prefettura, che è il ministero degli Interni sul territorio, ci sta dicendo che ora, solo ora, si è resa conto che gli immigrati sono in sovrannumero. Ma è la stessa prefettura che l’altro ieri portava gli immigrati nel Sannio e in riunioni istituzionali diceva che se gli immigrati non fossero stati accolti avrebbe dovuto pur metterli da qualche parte. Non a caso la Caritas di Benevento, magari memore della lezione di Einaudi, in un suo Manifesto per l’accoglienza ha messo in luce che ciò che non funziona è il sistema basato sugli appalti prefettizi.
Questa non è la storiellina della legalità con la quale si aggiustano le carte una volta che i fatti hanno fatto la storia; questa è la storia delle nostre comunità, dalla valle telesina alla valle caudina, che se hanno sangue nelle vene e onestà d’intelletto sanno che le vicende umane sono sudore, odore, sale, sangue e merda ma la vera merda non è quella di chi spala ma quella di chi non sapendo fare un cazzo tira le pietre. Paolo Di Donato ha permesso di non far montare le tende nel centro di Benevento e ha dato un tetto e dei pasti agli immigrati. Ha commesso errori, sbagli? Me lo auguro, perché un’anima che erra è un’anima che cammina, una persona che sbaglia è una persona che si corregge, un uomo che pecca è un uomo vero e non un tremebondo.
La vicenda di Maleventum è la storia politica e morale della provincia di Benevento in cui tra errori e sbagli i sanniti hanno offerto accoglienza e sono stati all’altezza della loro tradizione di figli di immigrati. Questo è il parametro con giudicare questa storia. Mettetevi a questa altezza che è sempre un’altezza di sacrificio e dolori. Quanto al sovraffollamento, vorrei far notare alla prefettura che anche nelle carceri c’è un gran sovraffollamento, anche lì c’è molta sofferenza sulla quale lavorare con le buone intenzioni dei trasferimenti di massa.