Milano, città italiana dell’Europa e del mondo. Capitale della produzione, della modernità, del progresso, ma anche del daffare incessante. Milano non fa nulla per dissimulare il suo carattere, lo enfatizza del resto con le perenni gru, gli edifici ultramoderni, l’ipertecnologia, la maestosità, la frenesia. Milano accoglie e coinvolge ma è inconciliabile con la speme di tranquillità e isolamento che talvolta travolge al termine di giornate gagliarde. Milano non ha rifugio o almeno è segreto al forestiero, cui non resta che imboccare una tangenziale, una via di fuga, casualmente verso ovest, verso quella terra di mezzo tra Milano e Torino dove lì dove Piemonte e Lombardia, spinte dall’acqua, strette tra i monti, larghe sulle pianure, infine, si baciano sulle sponde del Po e della Sesia.
Appena fuori Milano la strada scorre dritta e desolata, un percorso accompagnato da imponenti segni scultorei di modernità. Sono i tralicci dell’alta tensione, possenti come mai altrove, qui disegnati come immensi archi tesi da corde fulminanti, segni tangibili di quella che è forse la potenza originaria di queste terre, come si studia nella geografia minima delle elementari: l’energia elettrica. Chilowatt estratti dall’acqua, come la vita.
Più si penetra questa piana sconfinata più il paesaggio è avvolgente. Il Ticino e il Po’, più avanti, solo ad attraversali in auto, trasferiscono un tremore frammisto di ammirazione e paura. L’acqua via via diviene elemento dominante: gli acquitrini, le risaie, le terre umide spezzate di tanto in tanto dai pioppi, raggruppati dalla natura secondo schemi geometrici.
Milano è bella, abbandonarla è salubre.
Una suggeritrice occasionale, Gisella, mi ha spedito a Mortara, capitale della Lomellina, alla trattoria Guallina.
Un’oca si pavoneggia su una lastra di ferro e annuncia il tema portante del ristorante.
L’insegna tinta con stile rétro sul muro laterale della casa, invece, ne annuncia l’atmosfera: intima, informale, sussurrante nostalgie di racconti di nonni barbuti.
La balaustra in gesso, al culmine di una breve scalinata di antica graniglia grigia, è ornata di fiori come i balconi di una casa amica e si staglia contro un’esile e imponente acacia, lussureggiante di bianchi fiori. È così struggente l’ingresso che quasi si stenta a entrare.
Elena gira veloce per i tavoli, suggerisce con discrezione, annuisce per le scelte meno scontate dal menù o dalla carta dei vini.
La terrina di fegato grasso è squisita tanto quanto è complessa e minuziosa la preparazione artigianale. Lavorazione dei fegati d’oca, marinatura, farcitura, anche se il temine è improprio, con un dattero, cottura a bagnomaria. Nel piatto è servita con marmellata di cipolle e fichi e una dadolata di fragole. Sapori che si giustappongono e confondono con effetto superlativo. Spiccano tra gli antipasti anche l’uovo verticale con gli asparagi di Cilavegna e i fiori di zucchina ripieni di tacchi nella arrosto e salsa all’acciuga.
Semplici ma saporiti e sapienti i tagliolini ai profumi e ai sapori di primavera, con una menzione speciale per la qualità della pasta e la cottura delle verdure. Per suggellare una serata che sia d’amore o amicizia intensa il risotto coi “luartis” (germogli di luppolo selvatico) , cucinato solo per due persone, è imprescindibile.
Secondi sempre con ricchezza di proposta a base d’oca e variazioni su baccalà e manzo. Nessun cedimento al veganesimo modaiolo.
Il banco dei formaggi offre spazio ai lussuriosi per esperienze ai confini del’erotismo più coinvolgente. Robiola di Roccaverano senza tempo, Salva cremasco emozionante, gorgonzola naturale inviato sulla terra da Afrodite.
Buoni i dolci della casa.
Tavoli spaziosi, carta dei vini ben studiata, conto onesto in rapporto alla qualità.
Trattoria Guallina
Via Molino di Faenza, 19
Mortara (PV)
€ 35/40 bevande escluse
www.trattoriaguallina.it