di Giancristiano Desiderio
A chi l’ha accusata di sessismo per aver indossato un abito molto scollato in una fredda giornata invernale londinese sulla terrazza dell’hotel Corinthia per promuovere il suo ultimo film Red Sparrow, Jennifer Lawrence ha risposto così: “Datevi una regolata: tutto ciò che indosso è una mia scelta”. Applausi.
Gli antisessisti, in nome di una inconcepibile e contraddittoria correttezza universale vogliono imporre a uomini, donne, maschi, femmine e quant’altro esista sotto il sole il modo corretto di pensare, esprimersi, agire e, insomma, vivere. Questa ossessione per la correttezza comportamentale dimostra una sola cosa: i veri sessisti sono gli antisessisti. La loro paranoia è spinta, senza senso del ridicolo, fino al punto di trasformarsi in un giudizio estetico per condannare le opere d’arte e in pratica censurarle: è fin troppo noto il caso del dipinto di Balthus, Thérèse Dreaming, che secondo i sessisti veri, cioè gli antisessisti, indurrebbe alla pedofilia e quindi andrebbe rimosso dal Metropolitan di New York. Cosa rispondere? Datevi una regolata: ciò che è bello e ciò che è brutto non lo decide la vostra paranoia.
Le idiozie del politicamente corretto sono innumerevoli, tante tante tante e star dietro a tutte è un’ennesima idiozia. Il mondo è pazzo ma la pazzia più grande sarebbe quella di intestardirsi a renderlo savio. Ricordo il motto che si legge nel Candelaio di Giordano Bruno e che il grande nolano fa pronunziare alla signora Vittoria che era donna di mondo: “I savi vivono per i pazzi ed i pazzi per i savi; si tutti fusser signori, non sarebbero signori, e se tutti pazzi non sarebbon pazzi. Il mondo sta bene come sta”. Che è la semplice, nuda e cruda verità che Nietzsche vedeva nella bellezza femminile che, forse, tanto gli mancò: il mondo sta bene come sta perché è al di qua e al di là del bene e del male e delle polemiche astratte e smaniose e vanitose dei sessisti e degli antisessisti non sa che farsene.
Ma quando i pazzi diventano furiosi, i savi devono pur alzare la testa e rispondere come quella Maja desnuda della Lawrence: “Datevi una regolata: ciò che indosso lo scelgo io, come parlare lo decido io, come comportarmi dipende da me, come voglio vivere è affar mio e, insomma, tutto ciò che faccio se non è violento non vi riguarda”. Se tra queste libertà si dovesse scegliere quella decisiva, forse, la scelta cadrebbe sul linguaggio. La battaglia delle parole – cosa dire e cosa tacere, come esprimersi e come reprimersi – se non è questione di vita o di morte poco ci manca. Se è vero, come ci insegna Epitteto in catene, che la libertà di pensiero non ce la può togliere neanche il nostro aguzzino, è verissimo che la libertà d’espressione ci può essere tolta con le bastonate o, peggio, con quel conformismo che induce a parlare in un modo e a pensare in un altro. Tra le conseguenze risibili e ipocrite della storia delle desinenza in A o in O ci sono la simulazione e dissimulazione, insomma, la finzione e la presa per il culo in cui gli uomini si adattano a dire ministra invece di ministro, sindaca invece di sindaco, prefetta invece di prefetto ma in cuor loro pensano “ma tu guarda cosa mi tocca fare per campare”. Per campare male ed essere ridicoli perché imporre la desinenza in A dove il linguaggio, che a tutti noi è Giove, per la sua storia chiede la desinenza in O non è una correttezza ma una scorrettezza che sconfina nella scemenza. Carlo Dossi, che con La Desinenza in A descrisse con sarcasmo la condizione femminile nella seconda metà dell’Ottocento, definì il suo libro “una bricconeria, fatta da un galantuomo”. Forse, oggi il galantuomo non esiste più e Giampaolo Pansa per essere stato signore e galante nel “salotto televisivo” di Lilli Gruber si è sentito rispondere da Viola Carofalo “sua moglie dovrebbe bastonarla”; eppure, oggi solo gli uomini possono salvare le donne da questa risibile smania di cambiare le parole e censurare i pensieri e i corpi e le immagini che sembra farle uscire o farle entrare nella acida Desinenza del Dossi. Perciò, signori miei, prendete esempio da Jennifer Lawrence e dite: “Datevi una regolata: come parlare lo decido io”.