di Giancristiano Desiderio
E’ il tempo delle pretese assurde. Si pretende l’elezione parlamentare senza essere votati. Si pretende il governo del Paese senza avere la maggioranza. Si pretende di avere il programma politico e sociale intoccabile come se si fosse Dio. Le pretese assurde non sono solo dei prepotenti, che sono sempre esistiti in ogni luogo e ogni tempo, ma degli uomini e delle donne della società di massa in cui, appunto, si pretende che l’ignoranza sia premio a se stessa e la volgarità un diritto da esercitare. Ormai, i problemi della nostra vita pubblica non sono neanche più politici ed etici, ma estetici e di buongusto.
La pretesa assurda di essere in Parlamento non grazie ad una gara ma per diritto divino è figlia di quella politica principesca che una volta fece dire a Berlusconi di essere come la fata Smemorina di Cenerentola che trasformò le zucche in carrozze e principi. I miracolati capiscono, se sono intelligenti, che non possono essere miracolati a vita e la caduta persino con il paracadute non è lesa maestà ma l’ordine naturale delle cose che ritorna dopo il miracolo. Quando si pensa di essere degli statisti si fa una sola cosa: ci si candida nel collegio maggioritario uninominale. Se si vince si conquista quella autorevolezza che è figlia della libertà, se si perde si salva l’onore. Da ciò ne deriva che chi è bocciato nel maggioritario ma è ripescato nel proporzionale deve essere umile perché l’umiltà, come diceva Andreotti, è cosa stupenda ma non deve essere esercitata solo con la dichiarazione dei redditi.
Gli eletti del M5S sono tutti miracolati dal vento che ha soffiato così impetuoso ma non tanto da dare a Luigi Di Maio la maggioranza assoluta che è necessaria per votare la fiducia a un governo. Ma nonostante non abbia la maggioranza, il M5S ha la pretesa assurda di governare perché – come dicono i Dioscuri Di Maio e Di Battista – “devono venire a parlare con noi”. In verità, le cose sono esattamente il contrario: sono loro che devono andare a parlare con gli altri. Sono loro, infatti, che ritenendo di aver vinto le elezioni e credendo di avere il diritto di provare a fare un governo devono capire con quali argomenti reali – reali – potranno trovare un’intesa per ottenere i molti numeri che mancano alla Camera e al Senato per votare la fiducia al governo.
Ma la pretesa assurda più assurda è quella del programma. Chi crede che il proprio programma sia intoccabile o è Dio o è un truffatore. C’è davvero qualcuno, politico o no che sia, che non ha mai nutrito alcun dubbio davanti al programma politico o sociale al quale sono andate o vanno le proprie simpatie? C’è davvero qualcuno che posto davanti ad un perfetto ragionamento sul da farsi non è stato mai preso dal dubbio: e se invece di una buona cosa sto per fare una fesseria? Eppure, Luigi Di Maio ci presenta il Programma non come il suo programma politico ma come se fosse il programma del mondo al quale il mondo stesso dovrebbe attenersi per esistere. E’ questa davvero la pretesa più assurda perché è destinata inevitabilmente ad essere smentita sempre dai fatti giacché i programmi non esistono e ciò che esiste è la realtà pratica dell’azione nella quale l’uomo politico, se è un uomo politico di talento, si sa muovere usando i programmi senza diventarne prigioniero e, soprattutto, vi si sa muovere perché con esperienza ha imparato a riconoscere e rispettare i limiti della sua azione possibile. Ma è proprio questo oggi il nostro problema nazionale più grande: tutti fingono – non solo gli eletti, anche gli elettori – che tutto sia possibile e così siamo diventati, ormai, un paese impossibile che nutre astratti furori e assurde pretese.
Non so se sia più vero ciò che era ritenuto vero e sacro un tempo ossia che se un Dio ci desse il potere di realizzare quello che noi pensiamo sia il programma più bello e più buono, noi, presi dall’angoscia e dagli umanissimi dubbi, ci fermeremmo perché vedremmo come in uno specchio tutti i rischi e le sciagure di quel che fino a qualche istante prima ci era parso così sicuro e affidabile, e così rinsaviti restituiremmo al Dio quel terribile potere che spetta a lui e non certo a noi di esercitare. Oggi questa verità non è più rispettata, tutti – tutti, ripeto, non solo gli eletti – si sentono dei padreterni e credono di poter esercitare poteri di comando non a se stessi e nei limiti della situazione storica ma addirittura alla storia e al mondo. Ecco perché assistiamo con grande frequenza alla caduta degli dèi: perché la storia, grande o piccola che sia, nazionale o strapaesana, non è in possesso di nessuno e chi si presenta come un padreterno è solo uno che nutre pretese assurde alle quali gli Italiani, come loro costume, fingono di credere per tornaconto personale, con osanna nell’alto dei cieli per poi buttarlo giù e gli andrà bene, al padreterno di turno, se non a testa in giù.