di Gennaro Malgieri
Il Mezzogiorno è affetto dalla “sindrome di Masaniello”. Un’antica malattia che ci dobbiamo rassegnare a sopportare. Nessuno riesce a debellarla. Dalla formazione dello Stato unitario, per quanti sforzi siano stati fatti, il risultato è sempre stato deludente. L’atavica tendenza a correre dietro agli illusionisti, ai seminatori di odio, ai coltivatori di prolifiche piantagioni di invidia sociale è patrimonio del Sud come le sue bellezze paesaggistiche, i suoi monumenti, il suo umanesimo, la sua cultura gastronomica. Inspiegabili contraddizioni, si dirà. Ma più che prenderne atto nient’altro possiamo fare. E’ vero che la ribellione è un sentimento inestirpabile, ma è altrettanto vero che quando ad un potere oligarchico e prevaricatore si risponde con un corale insulto che non può sanare la piaga sociale che offende e addolora, significa che il presunto rimedio è addirittura moralmente peggiore del male a cui si pretende di opporsi.
E così dal clientelismo d’antan impastato di raccomandazioni e favoritismi, con tecniche più raffinate il Mezzogiorno cerca una improbabile via di riscatto accodandosi alla predicazione di imbonitori che promettono se non proprio il paradiso in terra qualcosa che gli assomiglia per chi non ha altro da mostrare se non la propria disperazione. Bastano 1630 euro al mese, come elemosina sociale, rubricata sotto la pomposa voce di “reddito di cittadinanza”, per convincere milioni di cittadini a sconfessare vecchie congreghe partitocratiche per abbracciare nuovi oligarchi onusti di gloria internettiana, connessi ad un impalpabile mondo nel quale i sogni sono realtà (sia pur virtuale), per liberarsi da satrapi cadenti che hanno disatteso tutte le promesse e vanificato perfino le più innocenti speranze?
Sembra proprio di sì. L’adesione a questa sorta di Grande Fratello chiamato Movimento Cinque Stelle in un giorno di marzo che a lungo sarà ricordato, ha rinverdito dimenticati fasti ribellistici e clientelari al tempo stesso, degni, appunto, di un’epoca nella quale i Masanielli spopolavano elargendo mance statali sottratte alla cassa comune per “conquistare” seguaci che ne avrebbero decretato le fortune politiche. Il Mezzogiorno, per il quale venne inventata addirittura una Cassa speciale dalla quale attingere moneta sonante a beneficio di moltitudini alle quali non faceva difetto il sorriso furbesco alternato al ghigno dei lestofanti di fronte ad un sistema di corruzione alimentato dalle richieste di sussistenza più varie, si ritrova oggi ad elemosinare speranze di redditi impropri, impossibili da elargire, ma incredibilmente facili da immaginare per come dei giovanotti nati alla politica nella spregiudicatezza dell’ignoranza ed allevati nella bambagia dell’arroganza hanno saputo farli “vedere”. Ed a queste speranze accomuna il giustificatissimo (ci mancherebbe altro!) sonoro “vaffa” indirizzato a chi ha occupato il potere passando da un lido politico all’altro con l’abilità di un Fregoli, ma rimanendo sempre se stesso, cioè a dire votato a custodire il potere personale gabellandolo per “bene comune”.
Abbiamo detto tante volte che questo nostro Mezzogiorno meritava ben altro delle classi politiche che l’hanno annientato. Ma non c’è stato niente da fare: ha prevalso su ogni ragione pubblica e privata quello che il mio amico Giancristiano Desiderio ha definito nel suo ultimo splendido e amaro saggio “l’individualismo statalista”. In questa vera religione degli italiani, fondata sulla corruzione morale, officiata da mediocri che si sono tenuti per mano tanto all’opposizione quanto in maggioranza, ci si trova tutto il disagio presente che soprattutto nel Mezzogiorno si manifesta in forme esplosive che, per ragioni che non tarderanno ad accendere le preoccupazioni di chi fino ad oggi ha ritenuto di cavarsela con un’alzata di spalle, sommergeranno il Paese di nuove inquietudini alle quali certamente coloro che sono stati soggiogati dalla saggezza pentastellata non hanno minimamente pensato.
Beninteso, è doveroso reagire, essere o diventare addirittura reazionari come insegnava Jacques Ploncard d’Assac tessendone l’apologia, ma in vista del superamento di aporie (marxianamente intese) che pregiudicano l’ordine sociale. Meridionali reazionari? Come non pensare al siciliano don Luigi Sturzo e alla sua polemica contro la partitocrazia clientelare che lo mise ai margini del partito che lui stesso aveva fondato; all’avellinese, sannita d’adozione, Alfredo Covelli, che sfidando l’ironia degli avversari osava infiammare le folle meridionali parlando di amor di patria quando la patria era stata dichiarata morta; al beneventano Raffaele De Caro, liberale per troppo amore per la libertà al punto da difendere e tutelare perfino coloro che lo avevano avversato e ridotto al silenzio, cui Andrea Jelardi ha appena dedicato una magnifica biografia, per il quale il Mezzogiorno non era terra di conquista elettorale, ma una vera e propria “nazione” da servire con generosità fino al sacrificio personale; a Giovanni Perlingieri, deputato sannita (e specificamente di Solopaca), costituente tra i più attivi ed intelligenti, che nel lavoro parlamentare mai si appropriò delle tematiche meridionalistiche a fini carrieristici; ad Araldo di Crollalanza, il mitico ministro dei Lavori Pubblici che seppe dire di no a Mussolini su questioni di non marginale importanza, mentre ricostruiva l’Italia ed in particolare dava una nuova fisionomia alla sua Bari oltre che ad altre città e contrade del Mezzogiorno, universalmente suffragato nella repubblica democratica. E potrei continuare…
Mi vengono in mente oggi questi spiriti eletti di un altro Mezzogiorno. Uomini di una terra che non aveva bisogno di essere blandita per farsi amare. Non toccò a loro l’infamia del dileggio poiché le mani le ebbero pulite come quelle dei bramini perfino quando si accingono ai lavori più umili. Li ho pensati in queste ore (insieme con pochi altri che tralascio di citare) perché voglio illudermi, invecchiando, che un altro Mezzogiorno è possibile. Ed il suo simbolo può non essere Masaniello.