di Gennaro Malgieri
La riscoperta delle radici storiche e culturali in numerosi centri del Sannio è una delle poche buone notizie da registrare dato il presente contesto socio-politico che non offre, oggettivamente, motivi che predispongano ad un sia pur flebile ottimismo. L’Associazione Storica della Valle Telesina, per esempio, è una realtà preziosa che si sta imponendo all’attenzione con gradualità e costanza, attraverso convegni pregevoli e la pubblicazione di un Annuario denso e ricco di saggi sul retaggio di una terra mai troppo “dissodata” alla ricerca delle origini mentre molto ci sarebbe da fare non soltanto nella ormai vieta e perfino un po’ volgare prospettiva di favorire il cosiddetto “rilancio turistico”. I promotori dell’Associazione hanno un’altra concezione del loro lavoro: favorire l’emersione dell’identità di una considerevole porzione del Sannio come contributo alla ricostruzione più complessiva di un territorio la cui importanza spesso sfugge o non viene adeguatamente valorizzata da chi è preposto istituzionalmente allo scopo di preservare ciò che è sepolto nel passato.
La stessa considerazione vale per altre realtà locali, non sempre conosciute come meriterebbero, a cominciare dal “Cenacolo” di Solopaca, un sodalizio che di tanto in tanto propone interessanti “reperti” che mirano alla conoscenza del paese adagiato sulla riva sinistra del Calore, noto per l’ottimo vino che vi produce, la cui storia è stata tutt’altro che marginale nello sviluppo delle vicende sannite e, più complessivamente, della Campania ed in particolare, data la sua posizione “strategica”, quale centro di raccordo tra il Sannio beneventano e la Terra di Lavoro.
L’ultimo “Quaderno” che il “Cenacolo” ha pubblicato, a cura di Alessandro Tanzillo, intellettuale appassionato di storia locale (e non solo), oltre che infaticabile ricercatore di memorie sepolte o trascurate, è una Miscellanea di scritti di straordinario interesse della cui esistenza in pochi sospettavano l’esistenza. La polvere dell’oblio era caduta da tempo immemorabile su illuminanti libretti d’occasione pubblicati perlopiù nella seconda metà del Diciannovesimo secolo inerenti alcuni eventi che interessarono Solopaca al più alto livello, come la costruzione del Ponte Maria Cristina, il suo precoce crollo per cause dovute ad un alluvione, la sua ricostruzione dovuta allo stesso monarca che lo fece erigere, Ferdinando II di Borbone, consorte della defunta Regina, madre dell’ultimo Re di Napoli Francesco II.
Un opuscolo, anonimo e di ottima fattura, pubblicato nel 1852, testimonia la sollecitazione al sovrano di ricostruire ciò che la natura aveva distrutto. E lo fa con dovizia di particolari tali da far pensare che esso sia stato ispirato e redatto non soltanto da un funzionario, ma anche da politici ed intellettuali che avevano una visione dell’importanza di un manufatto la cui realizzazione avrebbe aperto, come puntualmente accadde, strade commerciali di grande impatto economico nella zona oltre ad avere un indiscutibile valore strategico-militare. E in esso, tanto per sottolinearne un aspetto, non vi si riscontra egoismo campanilistico, ma apertura ai paesi limitrofi e spirito di condivisione con essi in vista di un medesimo progetto di sviluppo. Oltre a Solopaca, il Ponte Maria Cristina sarebbe stato vitale per San Lorenzo Maggiore, Vitulano, Paupisi, Torrecuso, Ponte e le contrade afferenti. La “supplica”, immediatamente accolta, sia pure grazie ad un escamotage che non riveleremo per non togliere il piacere della lettura, si fondava sulla speranza che le popolazioni dei comuni interessati non vedessero Solopaca privato di un tale benefico ed indispensabile strumento di collegamento per raggiungere le province di Napoli, Terra di Lavoro e Molise.
Problemi più “locali”, potremmo dire, occuparono altre pubblicazioni come quella della perorazione della costruzione della strada comunale di collegamento tra il suddetto Ponte ed il rione Procusi. Se ne occuparono i sindaci, naturalmente, ma anche un singolare politico solopachese, più volte deputato del Regno: Costantino Nicola Cutillo che rappresentò assai bene il collegio elettorale, oltre a ricoprire cariche amministrative di grande importanza. Se ne erano perdute le tracce. Grazie ad Alessandro Tanzillo ne sappiamo qualcosa e non è detto che la ricerca finisca qui, come non si arresterà il “censimento” dei politici solopachesi e della Valle Telesina che hanno rappresentato quel territorio al più alto livello nell’Italia post-unitaria.
Tanzillo, nella sua premessa al volume esprime senza infingimenti lo scopo che l’anima: approfondire la conoscenza di “un territorio sempre raccontato eppure non abbastanza conosciuto nelle sue vicende positive e negative, nelle sue ferite e potenzialità, nel suo sviluppo e nei suoi protagonisti”. Vasto programma, si potrebbe concludere. Ambizioso senz’altro. Ma indubbiamente realizzabile e, dunque, tutt’altro che velleitario. Soprattutto se si avverte, come crediamo, il valore morale di un’opera tesa a far conoscere protagonisti – intellettuali, politici, amministratori, eccetera – che hanno animato, in secoli tutt’altro che “bui” la vita di una comunità segnalandosi per acume e visione, capacità di immaginare prospettive e delineare finanche destini occupandosi di ponti, strade, acquedotti, ma anche di filosofia (uno su tutti: Stefano Cusani) e di fisiologia. Una materia quest’ultima poco nota ed ancor meno noto chi, giovanissimo studioso dell’Università di Napoli, pubblicò un saggio al riguardo di sorprendente profondità e, per l’epoca, di grande modernità: Martino Cusani (1858-1935). Il suo libro, Uomo e natura, pubblicato nel 1881, “riesumato” da Alessandro Tanzillo, figura nella Miscellanea, ed offre uno “spaccato” di intelligenza che non perdoneremo mai alle generazioni che ci hanno preceduto di aver lasciato ammuffire un tale personaggio negli armadi della memoria di Solopaca e della Valle Telesina. Una definizione del mondo di Martino Cusani? Non stupitevi se vi capiterà di cogliere assonanze con Friedrich Feuerbach o Arthur Schopenhauer : “Il mondo è un vastissimo magazzino di cui ciascuno opportunamente si avvale per provvedersi di ciò che gli abbisogna, e di sgravarsi di quel che gli è inutile. E’ un fuoco vivente, a dir di Eraclito, che si estingue e si rianima con determinate leggi. E’ un opificio, in cui si fabbricano i materiali da somministrarsi e si reintegrano quelli, che rigettati, sono perennemente restituiti. L’insieme di questi elementi, che si danno e si ricevono, dicesi materia.”
A Martino Cusani non è mai stata dedicata una parola. Come a Enrico Cutillo, sindaco di Solopaca per vent’anni nella seconda metà dell’Ottocento, fratello del ricordato deputato Costantino Cutillo.
Qualcuno potrebbe dire: che ce ne facciamo di queste memorie? La domanda è mal posta. Si dovrebbe porre in questi termini: che cosa siamo senza le “nostre” memorie? E’ vero, gli studi classici soffrono d’abbandono. Diversamente sapremmo tutti, soprattutto le giovani generazioni, che è impossibile avere un futuro ignorando il passato. Per fortuna c’è qualcuno, perfino nel nostro Sannio, che continua a pensarla così.