di Giancristiano Desiderio
La democrazia moderna non si fonda né (solo) sull’antifascismo né (solo) sull’anticomunismo ma sull’antitotalitarismo. La cultura politica italiana, un misto di ignoranza e malafede, è grottesca. Questo il punto: per vivere in una cultura politica democratica senza finzioni non si può essere antifascisti senza essere anticomunisti. Infatti, se è vero che tutti i democratici sono antifascisti, non è vero che tutti gli antifascisti sono democratici. Questo dicono il pensiero e la storia del Novecento. La pessima campagna elettorale che abbiamo sotto gli occhi è il frutto di una cultura che ha in sé il virus totalitario.
Benedetto Croce nel Contributo alla critica di me stesso – nelle note autobiografiche aggiunte nel ’34 – scrisse che vedeva in molti oppositori del fascismo lo stesso politicismo che osteggiavano negli avversari. Si trattava del morbo pan-politico, tipico delle ideologie di massa, che tutto riduceva alla conquista dello Stato per da un lato egemonizzare le coscienze e dall’altro estromettere con le buone o con le cattive gli avversari dal consorzio civile. Così quando il fascismo finì, venne fuori l’altro morbo totalitario che l’antifascismo si portava in grembo: il comunismo. E il Pci, estromesso dal governo da De Gasperi e poi spedito all’opposizione dalle vecchie zie di longanesiana memoria, mise il cappello sull’antifascismo per dimostrare che ogni posizione anticomunista era di fatto fascista e, quindi, era illegittima. A farne le spese fu, nel breve periodo, la cultura liberale e, sul lungo periodo, la democrazia italiana.
Apro una brevissima parentesi di storia o cronaca di filosofia italiana. L’altro giorno Antonio Gnoli, su la Repubblica, ha intervistato Sergio Landucci, autore de I filosofi e i selvaggi, e allievo, tanto tempo fa, di Cesare Luporini. Landucci è stato un testimone del passaggio degli intellettuali dal fascismo al comunismo (lo stesso Lupo fu allievo di Gentile, come allievo di Gentile fu Eugenio Garin, poi diventato icona dell’antifascismo). A proposito di uno di questi passaggi, quello di Delio Cantimori, Landucci così si esprime: “Come ad altri intellettuali gli è mancato il pensiero liberale. Era dominato dai fatti e dall’idea che la storia sia guidata dal potere”. Chiusa parentesi.
Ecco cosa c’è nella cultura antifascista comunista che non vuole essere anti-totalitaria: il convincimento e il calcolo che la storia sia guidata dal potere e che l’antifascismo sia il potere buono, mentre chi si dice anticomunista è di per sé cattivo e pericoloso. Si tratta di una cultura infantile ma proprio per questo efficace perché si presenta in modo schematico e binario: noi siamo il bene, loro sono il male. E’ una pseudocultura che evoca essa stessa il male – i fascisti, il fascismo, gli anti-comunisti, i razzisti – perché ne ha bisogno per affermarsi. E’ una pseudocultura paranoica ossessionata dal potere perché – per dirla con Landucci – ritiene che la storia sia guidata dal potere.
E’ un’impostura (della quale, peraltro, hanno pagato il fio sempre i poveracci incantati dagli intellettuali presuntuosi). La storia è guidata dalla libertà. Potere e libertà riguardano ognuno di noi. Al fondo del potere – dello Stato, che di per sé non esiste nemmeno – c’è la nostra libertà che non nasce come una elargizione ma dalla limitazione del potere. Compito di uno straccio di cultura, liberale o meno che sia, è quello di mettere in luce il limite del potere: sia per evitarne gli abusi sia per averne utili capacità. Ma una cultura sì fatta e sì pensata è frutto di lavoro e serietà. Il maggior nemico della libertà è, invece, l’odierno superficiale convincimento che esista un potere superiore o perché ispirato dalla verità o perché ispirato dall’onestà o perché ispirato dal popolo o perché ispirato dalla correttezza e tutto andrà finalmente a posto quando gli uomini della verità o gli onesti o gli uomini del popolo prenderanno il potere e lo renderanno finalmente vero, onesto, popolare, corretto. E’ il trionfo della stupidità che oggi appartiene un po’ a tutti, non solo agli stupidi ma anche ai competenti, non solo agli elettori ma anche agli eletti, non solo agli esclusi ma anche agli inclusi. E’ una forma di stupidità organizzata che reclama i diritti all’ignoranza, alla volgarità, persino alla violenza. Ecco perché oggi, più che dell’antifascismo, avremmo bisogno dell’antistupidario.