di Giancristiano Desiderio
Il delitto di Pamela è terribile ed esecrando perché la ragazza dal dolce sorriso e dagli occhi sperduti è stata uccisa due volte: da viva e da morta. Le è stata negata la vita, le è stata negata la morte. Tutte le nazioni, barbare e umane, lontane negli spazi e nei luoghi della Terra come nei tempi della Storia sconfinante nella natura, hanno sempre avuto tre umanissimi costumi: la religione, i matrimoni, la sepoltura. E’ da queste tre cose, ci dice Giambattista Vico, che iniziò l’umanità e perciò si devono “santissimamente custodire” affinché il mondo mai “s’infierisca e si rinselvi di nuovo”. Della giovanissima donna, invece, non resta nulla più: il suo corpo è stata tagliato e macellato, i pezzi di carne e ossa sono stati infilati in due trolley – due valigie – e abbandonati nel niente. Gli uomini sono ritornati ad essere belve e su gli estinti/ non sorge fiore, ove non sia d’umane/ lodi onorato e d’amoroso canto.
I fatti crudi selvatici e lividi di Macerata, questa cittadina a cui sono legato per affetti e pensiero, sono stati interpretati esclusivamente con la politica. Luca Traini è stato giudicato ora come un vendicatore, ora come un pazzo, ora come un razzista. Gli antifascisti militanti hanno manifestato a Macerata e in altre città il 10 febbraio e nel giorno della memoria delle foibe hanno trovato giusto inneggiare ad una bella e unica foiba da Triste in giù per coloro che ritengono essere fascisti. Siamo per davvero questo? Siamo per davvero una nazione che posta davanti all’esecrando e al terrorismo risponde sputando sul passato tragico e offendendo il culto dei morti?
Questa campagna elettorale sarà ricordata come la più brutta della nostra storia, sempre che non si scenda un altro gradino verso la selva oscura che ci portiamo dentro. Dagli uomini di pensiero e di cultura – che ancora ci sono, ci devono pur essere nelle scuole, nelle redazioni, nelle televisioni, nei dolori – dovrebbe venire a noi l’idea giusta e civile di non interpretare i fatti di Macerata – i nigeriani, Pamela, Traini, la periferia, l’illegalità – con la politica ma con la poesia e la storia. Questa nostra Italia, che ha le dimensioni grosso modo di un cortile, è diventata un’aula di tribunale in cui tutti, anche chi al momento recita la parte del puro e del giudice, diventano imputati in un gioco al massacro che non ci conduce né al fascismo né al comunismo ma alla loro farsa in cui il tragico prende le sembianze del grottesco.
Non so voi, ma io sono notti che non dormo. Il fantasma di quella ragazza dagli occhi impauriti mi visita e non so come un paese intero possa discutere del razzismo e dell’anti-razzismo senza avvertire il pietoso bisogno di zittire e portare un fiore sulla tomba inesistente della ragazza di cui, come la rosa, resta solo il nome. Romanticismo? No, il contrario. In gioco non ci sono sentimenti delicati, ma l’elementare bisogno di sensi virili e fortezza per trarci fuori anche solo dalla possibilità di cadere nel mondo ferino che distrugge il nostro patto sociale. Il passato non ritorna; semmai è il presente che lo evoca per trovare facili rassicurazioni alle proprie pecche, alle proprie insensatezze e ai propri decadenti sentimentalismi che ci impediscono di vedere che noi stessi ritorniamo ad essere bestioni primitivi, tutti stupore e ferocia, che vagano in questo selvatico cortile italiano in cui si è perso anche il culto delle tombe.