di Giancristiano Desiderio
A Macerata, bella cittadina di provincia nelle Marche, in una settimana accadono due crudi e cruenti fatti di sangue: uno spacciatore nigeriano fa a pezzi una ragazza – Pamela, 18 anni – e infila i suoi resti in due valigie; qualche giorno dopo un esaltato si arma, monta in auto, si trasforma in giustiziere e spara a ogni uomo di colore che gli capita a tiro. Quale la reazione della politica?
A destra condannano la tentata strage di Luca Traini e puntano il dito contro la “invasione” degli immigrati che crea disagio e paura e conduce ad armare i folli. A sinistra condannano la mattanza di Innocent Oseghale sul corpo di Pamela Mastropietro e puntano il dito contro il fascista Luca Traini e il suo mandante morale che Roberto Saviano individua in Matteo Salvini e nella Lega. Le due posizioni “politiche” sono tra loro speculari, sono armate l’una contro l’altra, non hanno come fine la comprensione dei fatti ma unicamente il rafforzamento dei propri convincimenti che riconosce in se stessi il Bene e identifica nell’altro il Male che diventa così l’origine dei fatti di sangue che, di volta in volta, sono ora lo spaccio e l’omicidio e ora il fascismo e il razzismo. La politica invece di provare a risolvere problemi e lenire i conflitti sociali, li fomenta.
Il conflitto non è eliminabile dalla società. Lo Stato che lo sopprime lo assume in sé, “chiude” la società e diventa uno Stato autoritario o addirittura totalitario. Compito della politica non è eliminare il conflitto ma rappresentarlo sul piano istituzionale per addolcirlo e renderlo compatibile con la vita di una “società aperta”. In Italia la politica da tempo non svolge più questa funzione e soffiando sul fuoco dei conflitti – e perfino delle polemiche personali con la partecipazione ordinaria dei social – li esaspera. Così accade che i soggetti sociali tra loro in conflitto – o tra loro non sempre in conflitto – siano trasformati in personaggi tragici: l’immigrato diventa un delinquente, l’esaltato diventa un prigioniero politico. La pace sociale sarà raggiunta solo quando tutti quei delinquenti di immigrati saranno messi alla porta oppure solo quando tutti gli esaltati e i non-allineati saranno fatti prigionieri. Così lo Stato non deve svolgere un ruolo di garanzia in difesa delle libertà e dell’ordine possibile ma, al contrario, deve mettersi al servizio del demagogo o ideologo di turno che chiamando a raccolta i suoi interessati fedeli ambisce a conquistarlo per rendere così tutti immuni o dal pericoloso male dei delinquenti-immigrati o dal pericoloso male dei dissenzienti-fascisti.
La politica italiana, che non ha mai maturato una cultura anti-totalitaria, è prigioniera di se stessa. Invece di disinnescare le bombe dei conflitti sociali, ne carica una più potente per la quale non c’è un artificiere in grado di farla brillare perché l’artificiere dovrebbe essere essa stessa. Anche i cosiddetti intellettuali, ormai morti e non sepolti, non svolgono più – forse non lo hanno mai svolto – il ruolo di critica e depotenziamento della volontà di potenza ma, all’inverso, la alimentano demonizzando il dissenso che della vita libera è la fonte. In questa tragedia nazionale che è diventata la politica, in cui non ci si intende più e non ci si incontra più neanche tra uomini e donne votate alla ragionevolezza e al riconoscimento dei reciproci meriti e scambievoli errori, non mancano elementi di commedia. Forse, la nostra salvezza è proprio nella commedia che alla fine trionfa su tutto e neutralizza il fanatismo tragico in cui, per fortuna, ci rifiutiamo di credere fino in fondo.