Ci perdoneranno i lettori per il susseguirsi di due articoli tra economia e politica del cibo, ma i fatti di cronaca di questi giorni pure impongono una riflessione a chi pensa che il cibo sia risorsa oltre che piacere.
Nella settimana che appresta a concludersi le cronache agroalimentari sono state dominate da due notizie di particolare rilievo.
La Corte di Giustizia Europea ha accertato che tra il 1995 e il 2009 le multe per la produzione eccessiva di latte da parte dei ricchi allevatori del nord Italia sono state pagate dallo Stato italiano senza rivalersi sui singoli produttori responsabili. Parliamo di un importo di 1,3 miliardi di euro proditoriamente prelevati dal Fondo per le Aree Sottoutilizzate al fine di lasciare immuni da pena gli allevatori del nord, sacca elettorale leghista. Non a caso del resto, fu Zaia nel 2009, quando era Ministro per le Politiche Agricole, a dichiarare risolto il problema per il quale oggi, invece, l’Europa ci censura. Scrivono i giudici in Lussemburgo: “l’Italia non ha applicato il principio per cui paga chi sbaglia”. Se per un verso l’accaduto è la inevitabile conseguenza di quel cancro incurabile che ha consumato ogni particella di etica della responsabilità, a qualsiasi livello, per altro risulta inaccettabile che chi si è reso corresponsabile di un sostanziale furto ai danni della comunità e delle aree depresse del paese, a favore di precisi interessi economici ed elettorali, ben localizzati territorialmente, si erga a paladino della lotta al malcostume clientelare meridionale e spacci per esito del buongoverno consensi pagati con miliardi di euro pubblici.
La seconda notizia l’ha lanciata Maurizio Martina, da Calcinate, in provincia di Bergamo, Ministro anche lui per le Politiche Agricole. A Bergamo, guarda caso, ha presentato il 22 gennaio scorso i Distretti del Cibo, strumento previsto dalla legge di bilancio, con uno stanziamento risibile di 15 milioni di euro tra 2018 e 2019, per garantire ulteriori risorse e opportunità per la crescita e il rilancio a livello nazionale di filiere e territori. Questi Distretti del Cibo, ne esistono già 60 nel paese, poco noti e poco utilizzati, sono definiti come: distretti rurali e agroalimentari di qualità; distretti localizzati in aree urbane o peri-urbane caratterizzati da una significativa presenza di attività agricole volte alla riqualificazione ambientale e sociale delle zone; distretti a regime biologico.
Il comunicato del Ministro elenca, poi, tre distretti esempio, quello dell’agricoltura sociale di Bergamo (toh), quello di Milano e poi, per scendere a sud (sic!) quello della Maremma.
Alcun distretto localizzato in regioni come Campania, Puglia, Sicilia, che sono tra le prime per produzione agricola in Italia, è stato ritenuto degno di nota dal Ministro, che è, o sarebbe, Ministro della Repubblica Italiana, ancora estesa dalle Alpi a Pantelleria.
Mentre a S
Mentre a sud, in definitiva, ci dimeniamo tra sterili convegni sul revisionismo risorgimentale e impoverenti diatribe interregionali, come quella tra Campania e Puglia su una mozzarella e quattro pomodori, i furbacchioni del nord coi loro complici politici attingono e talora borseggiano le casse dello Stato e della UE, si organizzano per governare processi e risorse.
Emerge, insomma, ove vi fosse ancora bisogno di evidenziarlo, la necessità che le forze produttive dell’agroalimentare del mezzogiorno agiscano sinergicamente piuttosto che in ordine sparso, quando non in contrapposizione, per dare riscontro politico a una vocazione storica e a una produzione qualitativa e quantitativa di assoluta rilevanza e in molti casi di eccellenza.