di Giancristiano Desiderio
A volte, quando le cose da fare sono tante e il tempo è poco, sono preso dallo sconforto. Mi rendo conto che le attese saranno disattese e i programmi fatti dovranno essere modificati strada facendo, correndo correndo, perché sono sopraggiunte novità e la vita con tutta la sua arte di improvvisare e recitare a soggetto mi obbliga a rimettere mano alle intenzioni in vista delle azioni. Ma lo sconforto è superato perché la vita che arriva a sconvolgere i piani non è un’eccezione bensì la regola e tanto vale capirlo subito rispondendo colpo su colpo distinguendo, per conservare energie e freschezze, tra i doveri, i piaceri e gli immancabili fastidi. Spesso, quando subentra un certo avvilimento perché non riesco a leggere tutto quanto dovrei leggere, mi sovviene quanto una volta Antonio Labriola disse al suo amico napoletano che stava dietro a tutte le novità, le riviste, gli articoli, i libri e pure di tanto in tanto era preso da scoramento: “Non ti dannare l’anima, in fondo i libri sono i discorsi degli altri e mica possiamo stare ad ascoltare tutti i discorsi degli altri” (le parole del Labriola non sono proprio queste ma qui cito a memoria e ciò che conta è il concetto). La saggezza di quello spiritaccio di Labriola è preziosa e il suo consiglio va anche oltre la circostanza. Sarebbe davvero un inferno stare ad ascoltare tutti i discorsi degli altri – di questi tempi poi – e bisogna invece pur decidersi a dedicarsi alla lavorazione di sé e convertire le letture e lo sguardo intorno a noi e, insomma, il passato che ci preme addosso e che crediamo di avere alle spalle e invece ci sta innanzi, in conoscenza per montarci sopra e provare a vivere, tra salite e discese, in più alto grado.
Queste poche righe potrebbero essere scritte ad uso privato, come di chi fa un cristiano esame di coscienza per sostare, capire e riprendere il cammino. Sono invece una sorta di diario in pubblico perché ho l’illusione che possano essere utili anche ai miei venticinque lettori di manzoniana memoria. Valgono per me ma possono valere anche per chi critica se stesso per sapere cosa di vero ha fatto e cosa è giusto che faccia. Se è vero che non una porzione della vita ma la vita tutta è una continua educazione, pur è evidente che oggi non vi è interesse alcuno per l’educazione ossia la conduzione della vita e prevalgono le genericità, le istruzioni, le sensibilizzazioni che mi sembrano una grande “rete del vuoto” in cui si organizza l’ignoranza non solo dei concetti ma anche della concreta vita morale. Non c’è altro da fare che prenderne atto e tra gli strepiti e gli isterismi e le inconcludenze fare parte a sé e lavorare senza farsi distrarre e, per il resto, lasciar fare alla divina provvidenza, che ne sa più di noi singoli e lavora con noi, dentro di noi e sopra di noi.
Volgendo lo sguardo all’indietro, ma solo come l’atleta che indietreggia per prendere la rincorsa e saltare innanzi, vedo che il lavoro svolto negli ultimi tempi tra tempeste impeti e assalti è non poco e così ricco di titoli che ragionando me con me sento un che di gratificante. Mi sia concesso una umana vanità che, in realtà, è solo un ristoro prima della nuova stazione perché quei titoli – la Vita, la Verità, lo Scandalo, i Selvaggi, fino alla critica della “vera religione degli italiani” e i tanti scritti sparsi e in parte raccolti nelle pubblicazioni di Sanniopress – sono gradini di una scala con la quale salgo e scendo il corso del tempo che mi è toccato in sorte di vivere e pensare. A breve usciranno altri lavori che ho licenziato e altri se ne preparano ma qui mi fermo perché è invalsa un’abitudine che non mi piace e non mi si addice, quella di annunciare invece che di fare. Come diceva Leopoldo Ranke, negli studi non bisogna mai parlare di ciò che si deve o si può fare, ma bisogna fare. E mi verrebbe da aggiungere che bisognerebbe avere questo sano costume non solo negli studi giacché se mi guardo intorno e ascolto proprio quei discorsi di sopra richiamati non si sente altro che un grande coro di annunciatori che vanno o liquidati o lasciati ai loro annunci come un televisore acceso che non si ascolta.
Il lavoro svolto continua con buona lena se si evitano le distrazioni e si fanno cadere le deviazioni occasionali nella consapevolezza che ogni opera di pensiero e di azione è l’esercizio di una lotta con cui la vita prova se stessa. Mi ritorna alla mente, con un malinconico sorriso, la visita che in una domenica di sole e di luce di una incipiente primavera ricevette mio nonno da parte di una ragazza e di suo padre che venivano a chiedere consiglio su come superare un esame scolastico. Mio nonno, parlando con quella ragazza che forse avrebbe voluto non a torto correre nella luce primaverile incontro all’estate delle sue illusioni, le disse che la vita tutta è una lotta ed è bene prepararsi ogni giorno per affrontarla perché anche l’ultimo giorno che viene per metterci a riposo, la morte, viene a noi nella intima forma della lotta. E ora non posso non pensare che il vecchio, a me tanto caro come un secondo padre, parlando alla ragazza si preparava a concludere la sua operosa giornata.