di Giancristiano Desiderio
In un ignoto giorno del 1896 Benedetto Croce visitò Sant’Agata dei Goti. Con lui c’erano Giuseppe Ceci, Giulio de Montemayor ed Emilio Bertaux. Erano alla ricerca di una Madonna che videro ma non riconobbero. Con il loro passaggio, i quattro visitatori misero a rumore la Valle Caudina: giunsero con il treno a Cancello, salirono in carrozza e attraversarono San Felice, Arienzo, Arpaia e Airola e dopo tre ore di salite e discese e andirivieni nella campagna caudina tra colline, giardini e villaggi giunsero a Sant’Agata dei Goti “centro di studi e d’arte antica culla”, secondo i “versi barbari” di Michele Melenzio. Giunti in paese visitarono quattro chiese: l’Annunziata, la Badia di San Menna, San Francesco e il Duomo. Cercavano in particolare un’opera di Angiolillo Arcuccio ma siccome la cercarono nel posto sbagliato – nella chiesa di San Francesco – non la trovarono e quando vi passarono davanti nella chiesa dell’Annunziata non se ne avvidero. Di quella giornata e di quella visita il Bertaux ne scrisse poi sulla rivista dei suoi amici, Napoli Nobilissima, ma lo stesso Croce ricordò in alcune sue opere, come ad esempio Storie e leggende napoletane, la sua visita a Sant’Agata dei Goti. Non fu questa, però, l’unica volta in cui il filosofo mise piede nel Sannio Beneventano.
Se la presenza di Croce e dei suoi amici mise a rumore Sant’Agata dei Goti nel 1896, s’immagini cosa accadde il 6 giugno 1929 a Torrecuso. In quel tempo il filosofo era il principale oppositore del regime fascista di Mussolini, aveva da poco pronunciato il suo discorso contro i Patti lateranensi in Senato ed era un “sorvegliato speciale”: quando si muoveva lo seguivano spie, carabinieri, ombre e si mettevano in agitazione questure e prefetture. Accadde così anche a Torrecuso dove non si videro mai, né prima né dopo, tanti carabinieri come quel giorno e così tra una cerimonia religiosa e un banchetto di festa la visita di Benedetto Croce finì dritto dritto in una informativa fiduciaria dei carabinieri che rimpinguò il “fascicolo Croce” che il regime inaugurò subito dopo la pubblicazione del Manifesto degli intellettuali antifascisti scritto dal filosofo. E pensare che Croce si recò a Torrecuso solo per battezzare il piccolo Renato, il figlio di Cleonice Fusco e Salvatore Frangiosa. La signora Cleonice volle fortemente che il padrino del figlio fosse il filosofo e Croce esaudì il desiderio in ricordo del suo amico e collaboratore Antonio Fusco, fratello di Cleonice. Anzi, per Croce il sacerdote di Torrecuso, morto nello spaventoso terremoto di Messina del 1908, era qualcosa di più di un amico, lo considerava quasi un figlio e proprio in questi termini ne scrisse a Karl Vossler: “… per me la perdita di Fusco è come quella di un figlio”. Antonio Fusco, sacerdote con la vocazione del letterato, conobbe Croce sul finire del 1899 e il filosofo, sempre attento ai giovani di buona volontà, lo aiutò e instradò e ne nacque una bella collaborazione di studi che diede bei frutti fino a quando la terra e il mare ancora una volta tremarono.
La presenza di Benedetto Croce nel Sannio non è, però, dovuta solo alle sue visite ma anche e soprattutto alla filosofia, tanto che i critici, gli storici e gli uomini di cultura a lui legati, come appunto Antonio Fusco, ma anche Riccardo Ricciardi di Airola, Francesco Flora di Colle, Alfredo Parente di Guardia Sanframondi e prima ancora Sebastiano Maturi di Amorosi, fino a risalire a Stefano Cusani di Solopaca, che fu precursore di Bertrando Spaventa, rappresentano un’ideale scuola filosofica sannita. L’ispirazione di questa scuola è hegeliana giacché lo Spaventa – che, tra parentesi, di Croce era lo zio ma il suo pensiero teologico-metafisico non influì sul nipote che, invece, avvertì il fascino del pensiero politico dell’altro Spaventa, Silvio – fu il maggior interprete italiano di Hegel nell’Ottocento. Ma l’avvio della ricezione e del rassodamento della filosofia di Kant e di Hegel si ebbe con Stefano Cusani, che ebbe vita breve e appassionata, e per la terra sannita dovrebbe essere motivo di orgoglio e, ancor più, di amore sapere che la nascita della scuola hegeliana di Napoli ebbe le sue radici nel Sannio. La scuola filosofica sannita, dopotutto, ha un altro grande ispiratore che fu compagno di studi del Cusani presso le lezioni di Basilio Puoti e maestro dello stesso Croce: quel Francesco De Sanctis che mettendo da banda gli aspetti teologali del pensiero hegeliano cari allo Spaventa ne valorizzò il carattere estetico e storico riconducendo la grande filosofia tedesca nell’alveo della tradizione critica del pensiero italiano guardando a Giambattista Vico come il geniale precursore sia di Kant sia di Hegel. Lo Spaventa da una parte e il De Sanctis dall’altra sono la destra e la sinistra italiane del pensiero di Hegel.
Nella scuola filosofica sannita è possibile distinguere due anime o due linee: una è quella che da Bertrando Spaventa attraverso Sebastiano Maturi giunge a Giovanni Gentile e al suo attualismo che andrà al governo con Mussolini; l’altra è quella che da Francesco De Sanctis giunge dritta a Croce che sarà al governo con Giolitti ma sarà all’opposizione del fascismo e così alla dimensione civile del suo pensiero si terranno stretti uomini come Francesco Flora e Alfredo Parente. Le due anime, pur nascendo da una comune radice, hanno dentro di loro come in sonno due diverse idee della filosofia e della politica e sono distinguibili anche per il modo in cui si espressero e si affermarono: la prima fu legata alle istituzioni, alla scuola e all’università mentre la seconda ebbe un carattere schiettamente civile e liberale. In una bella lettera del 23 ottobre 1903 di Croce al Maturi sul “caso Gentile” all’università di Napoli si trova una nitida traccia di questa differenza quando il filosofo dice: “Quanto a me, mi raffermo nel pensiero di dedicare le mie forze a suscitare un movimento filosofico fuori della cerchia universitaria, divenuta un ambiente mefitico. La filosofia non è negozio da mercenari: è opera che richiede animi liberi”.
E’ la bellezza della scuola filosofica sannita, come l’abbiamo chiamata forzando la mano ma rispettando il senso delle cose: la bellezza degli animi liberi che nel loro insieme danno vita, per chi abbia occhi per vedere e petto per amare, ad una cultura civile dalla quale si può ancora oggi trarre esempio ed ispirazione.
*il testo apre l’edizione 2018 dell’ormai storico calendario dell’azienda Di Leone di Cerreto Sannita