di Gennaro Malgieri
Vedo che i candidati (anche quelli improbabili o immaginari) si stanno allineando sulle griglie di partenza in vista delle elezioni politiche. E molti, tra di loro, cercano ancora, a meno di due mesi dallo scioglimento delle Camere, una collocazione possibile, quale che sia insomma, a dimostrazione che da tempo le appartenenze non esistono più. Chi avevamo lasciato in un partito o in una coalizione, infatti, lo troviamo altrove. Accade non soltanto nel Sannio, beninteso. È un costume diffuso. Così come diffusa è la tendenza alla invenzione o reinvenzione di partitini (una volta li avremmo chiamati “cespugli”, ma la botanica non va più tanto di moda in politica dopo lo schianto dell’Ulivo, nobile pianta maldestramente strumentalizzata) alla ricerca di qualche “protezione” da parte di formazioni che puntano sull’utilità marginale di gruppetti organizzati da notabili locali per prevalere almeno nei collegi uninominali.
Nel Sannio questa tendenza è particolarmente spiccata. E in passato ha dato i suoi frutti. Ma dubito che la storia si ripeta. Il tempo in cui amministratori di piccoli comuni detenevano il monopolio dei consensi da offrire al potente di turno credo sia finito: i pacchetti di voti, insomma, si sono assottigliati ed i sindaci si eleggono con percentuali irrisorie a differenza di quanto accadeva durante il lungo dominio democristiano.
Se l’orientamento, dunque, è decisamente cambiato, permane nel Sannio – almeno a giudicare da quanto riportano i giornali e da quel che si legge sul web – un personalismo politico che fa premio sui programmi o, almeno, sugli orientamenti che dovrebbero qualificare le candidature e le forze che le propongono. In altre parole, per dirla con chiarezza, ci si sarebbe aspettati che spegnendosi questa inutile (quando non dannosa) legislatura, la formulazione di un “progetto Sannio” da offrire agli elettori-cittadini centrato sulla ineludibile necessità di coniugare le esigenze reali, concrete e cogenti con le aspirazioni di una società marginalizzata dall’ignavia delle istituzioni locali e regionali, sospinta verso l’irrilevanza culturale ed economica nonostante lo spessore indiscusso di alcuni imprenditori e di intellettuali che potrebbero dare molto se messi nelle condizioni di operare.
La grande mostra sui Longobardi – per dirne una – in corso di svolgimento a Pavia e che poi arriverà a Napoli per chiudersi infine a San Pietroburgo, non ha minimamente toccato Benevento che della Langobardia minore è stata capitale e punto di riferimento anche dopo la fine dei longobardi stessi: è o non è un esempio di irrilevanza che la dice lunga sull’abbandono del Sannio? Non starò ad enumerare ciò che nel tempo – parliamo di decenni – si poteva fare e non si è fatto: non servirebbe a nulla. E’ tuttavia sorprendente che le classi dirigenti sannite sembra che se ne stiano arroccate nel loro stesso disgusto verso il mondo circostante quasi a voler sottolineare una sorta di diversità antropologica, fin troppo orgogliosamente, tale da impedire loro di gettarsi nella mischia per far valere le ragioni del Sannio.
Non è così naturalmente. Conoscendo alcuni dei più rilevanti esponenti politici sanniti sono certo che concordano con il sottoscritto e so anche che, quando hanno potuto, si sono dati da fare per modificare lo stato delle cose. Tuttavia risulta incomprensibile – e lo è ancora di più alla vigilia di una campagna elettorale i cui esiti saranno destabilizzanti: quasi certamente non avremo una maggioranza parlamentare in grado di sostenere un governo e non è escluso che in breve tempo di torni a votare – la stagnazione soprattutto di ordine culturale che connota il Sannio e la relativa scarsa reattività delle forze politiche a creare le condizioni per un mutamento dello stato delle cose.
Se la politica non è preceduta dalla cultura, o meglio se la coscienza culturale non anima l’azione politica – giusti gli insegnamenti gentiliano, crociano e gramsciano – c’è poco da sperare in un avvenire che con ogni probabilità sarà connotato dalla desertificazione della conoscenza favorita da abbandoni di giovani che cercheranno altrove fortune intellettuali frustrate nella loro terra, mentre le istituzioni culturali e civili continueranno a languire se l’impresa (sostenuta dalla politica) non cercherà le opportune sinergie con il mondo del sapere, dall’università ai più minuscoli centri studi o associazioni storiche locali che pure spuntano come funghi a dimostrazione che c’è qualcuno, perfino nei più remoti borghi, che non ha rinunciato a pensare e tiene molto alla salvaguardia della memoria storica.
Più che un appunto è un suggerimento ai candidati sanniti che si apprestano a correre per un seggio in Parlamento questa digressione “metapolitica” al culmine di una crisi sistemica nella quale la democrazia rappresentativa si sta dibattendo senza riuscire a trovare una soluzione. Ma anche in questo più ampio contesto mi sembra che manchi una discussione culturale, un approfondimento teorico e perfino ideologico delle ragioni che hanno determinato l’attuale stato comatoso che si riverbera sulle istituzioni e ne determina il malfunzionamento se non la paralisi.
Tornando al Sannio, la speranza è che si ascoltino altri accenti nei prossimi mesi rispetto a quelli uditi fin qui. E che la cultura come senso di appartenenza, coscienza storica, consapevolezza di un destino, si situi al centro di una politica che diversamente sarà insopportabilmente povera e priva di attrazione.