di Giancristiano Desiderio
Il mio paese, questa maledetta e benedetta Sant’Agata dei Goti, piange la morte di Leonardo Mustilli. I santagatesi, almeno quelli della mia generazione, che pure hanno ormai cinquanta primavere sulle spalle, lo chiamavano semplicemente così: l’Ingegnere. Ma ingegnere, l’ultimo dei Mustilli – almeno del ramo santagatese – non lo è stato mai, un po’ come Luciano De Crescenzo o, un esempio ancora maggiore, Carlo Emilio Gadda. Cito nomi a caso? No, perché il caro Ingegnere aveva una visione letteraria della vita che lo ha aiutato con le donne, i cavallier, le cortesie, l’audaci imprese e lo ha aiutato non poco anche nel rapporto non facile con i suoi compaesani e nei momenti più difficili e più bui di un’esistenza che tra fortuna e virtù non gli ha risparmiato atroci sofferenze. E’ andato via all’età veneranda di ottantotto anni nella prima notte fredda di un mite autunno mentre il vento spazza via le foglie della vita.
Cosa rimane della nostra vita? Ciò che facemmo, se lo facemmo. Leonardo Mustilli ha fatto la Falanghina. Certo, ha fatto tante altre cose e con la sue intuizioni e il sapiente governo ha reso più moderna la sua azienda vitivinicola. Tuttavia, verrà ricordato, come ha già giustamente fatto Luciano Pignataro, come il papà della Falanghina, anzi, l’Ingegnere, perché negli anni Settanta fu prima di tutto lui a recuperare il vitigno e a rilanciarlo, con una scommessa giocata e vinta, con il suo vino bianco che fin dal nome ha in sé il gusto e la forza di un esercito in battaglia, di una falange, appunto. Della sua azienda e della sua impresa – l’arte di fare il vino – era giustamente orgoglioso, anche se di un orgoglio signorile che con lo stile della riservatezza faceva a pugni con la cialtroneria che vedeva crescergli intorno.
Era da tempo che non lo vedevo, ma spesso e volentieri, soprattutto in prossimità della sua casa o per aver incrociato sua moglie, la signora Marilì, gli rivolgevo il pensiero. Perché, in fondo, in un paese la presenza di alcuni uomini si fa sentire anche con l’assenza. Leonardo Mustilli era da tempo, ormai, che non usciva e si era ritirato nel suo Palazzo come un antico uomo d’altri tempi. A chi gli faceva visita e gli chiedeva “Ingegnere, come state?” pare che rispondesse più o meno così: “Bah, niente, mi sto spegnendo”. Forse, era la verità, forse era la malinconia del tempo in cui – come diceva Giovannino Pascoli – i giorni non vanno ma vengono o, forse, chissà, era una reminiscenza letteraria. Quella del racconto di Salvatore di Giacomo che andò a trovare il vecchio duca di Maddaloni, il famoso epigrammista napoletano, e avendolo trovato che si scaldava al sole gli chiese, appunto, “Come state?” e si sentì rispondere: “Non lo vedi? Sto morendo”. Avrà fatto così anche lui, perché l’Ingegnere Mustilli aveva la cultura e l’ironia che lo avranno sostenuto anche nell’ultimo atto della sua operosa giornata.
Lo ricordo con affetto, un sorriso e un bicchiere del suo vino mentre il vento impetuoso consuma il tufo dei vecchi fabbricati di Sant’Agata dei Goti.