di Giancristiano Desiderio
Il Sannio è la cantina della Campania ma l’attuale primato vinicolo sannita ha un grande futuro dietro le spalle. Poco più di un secolo fa, poco prima della Grande guerra, il Sannio maturò, come le sue uve, la svolta storica nella viticoltura e nell’enologia. Fu quando nel 1910 approdò alla direzione della Cattedra ambulante di agricoltura della provincia di Benevento un piemontese: Andrea Cravino. L’agronomo, che ricopriva la carica di vicepresidente della Società italiana dei viticoltori, venne nel Sannio e da buon piemontese lo “conquistò” una seconda volta. L’agronomo era di Casale Monferrato e la sua terra aveva già buone relazioni con, in particolare, il Sannio telesino che si avviava a sperimentare i vini spumanti con il laurentino Modestino Ruggieri e il cerretese Pasquale Mazzacane. Così quando Andrea Cravino giunse a Benevento fu naturale stringere ancora meglio il rapporto tra il Sannio e il Piemonte e permettere alla vigne sannite di fare, forse, il maggior salto di qualità della loro storia o – ancor meglio – di coltivare l’arte del vino come prodotto di qualità.
Apprendo queste notizie da un testo che attraverso la storia del vino sannita e in particolare di Castelvenere racconta la storia di centocinquant’anni di progresso civile e agricolo: Vigneto Castelvenere. Lo ha scritto, con grande passione e non minor rigore, il giornalista Pasquale Carlo che è oggi probabilmente il maggior conoscitore della cultura e della storia vitivinicola del Sannio. Nelle pagine di Vigneto Castelvenere c’è una ricchezza di notizie e un tale intreccio di uomini, problemi e conquiste che, a dispetto del titolo, il libro ha una caratura da storiografia nazionale e sfugge al municipalismo che è sempre il difetto principale degli studi locali. Giustamente, Pasquale Carlo mostra come il Mezzogiorno, la Campania e la campagna sannita iniziarono a cambiare pelle e si incamminarono sulla strada della moderna viticoltura con la realizzazione dell’unità d’Italia. Basti un elemento: nel 1912, quindi cinquant’anni dopo l’unificazione, la Campania era diventata la prima regione vitivinicola italiana, un primato che mantenne fino al 1932. Un primato – aggiungiamo – che in fondo proprio Castelvenere ancora conserva se è vero che con i suoi 894 ettari vitati, su una superficie complessiva di 1520 ettari, è il comune più vitato della Campania, sfiorando così il primato nazionale.
Quando, dunque, l’agronomo piemontese Cravino giunse da queste parti, subentrando a Giovanni Hinek alla guida della Cattedra ambulante, non poteva che incamminarsi sulla via della qualità: in poco tempo si passò dalle poche analisi di laboratorio per le malattie del vino alle 169 effettuate nel “biennio libico” 1911-1912. L’agronomo favorì il più possibile le relazioni con Casale Monferrato in un’ottica di scambio di informazioni, interessi, tecniche che giovarono enormemente al Sannio che nel 1911 fu presente all’Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro. A passare in rassegna il lavoro dell’agronomo si rimane stupiti: nello stesso anno fu organizzata la prima esposizione provinciale olearia-enologica. Intervenne anche l’onorevole di turno, Vincenzo Bianchi, che ebbe parole di elogio per Cravino “che con grande senno e patriottico interesse ha saputo infondere tanta vita nella nostra provincia. Egli ha saputo destare in noi l’amore per la terra alla quale dobbiamo ritornare con la mente e con l’opera”. Retorica? Non saprei dire. Certo è che l’opera di Andrea Cravino, del piemontese Cravino che qui nel Sannio, questa sorta di Piemonte del Sud, si sentiva a casa sua, fu notevole e la documentazione di Pasquale Carlo la illustra nella sua quantità e nel suo significato.