Come di consueto a settembre iniziano a susseguirsi le anticipazioni sulle guide enogastronomiche in uscita nei prossimi mesi, appena chiuse nelle rispettive redazioni. Gli editori ed i curatori fanno filtrare notizie per alimentare rumors e caciara sui discussi volumetti le cui vendite sono oramai annichilite dalla mole di informazioni online.
Una delle guide di più antica diffusione in Italia, edita dal 1978, la guida dei ristoranti L’Espresso, curata da Enzo Vizzari, nella sua edizione 2018, che sarà presentata il prossimo ottobre a Firenze, premia quale miglior sommelier d’Italia il giovanissimo Alfredo Buonanno, sannita caudino, originario di Bonea, ed in servizio presso il ristorante stellato Kresios di Giuseppe Iannotti a Telese.
Lei ha raggiunto un risultato di rilievo a 22 anni, ha di che essere soddisfatto.
Il premio della guida L’Espresso è senza dubbio riconoscimento importante anche perché in passato ha fregiato figure determinanti del mondo della sala e della sommelerie italiana, figurare in questo albo non può che inorgoglirmi. Ritengo, tuttavia, si tratti solo di uno stimolo a conoscere di più del mio mestiere. A ventidue anni c’è ancora molto da studiare. Occorrerà un impegno ancor più grande per non deludere.
Dove si è formato?
Mi sono diplomato all’istituto alberghiero di Montesarchio. Ho avuto ottimi professori che mi hanno dato l’occasione di partecipare a gare importanti a livello nazionale e avvicinato a professionisti di fama. Sono stato, per così dire, preso per mano da taluni di questi e portato a conoscere il settore. Tra i più importanti Dennis Metz (già miglior Sommelier AIS 2012, secondo migliore Sommelier del mondo) con il quale conservo un rapporto personale intenso.
Molti tra i giovani migliori vanno via, Lei non è mai stato tentato?
Ho avuto l’occasione di andare a lavorare al Devero, a Cavenago Brianza, il ristorante dove operava lo stellato chef Enrico Bartolini. Avevo fame di girare e avrei anche potuto andare all’estero, ma avevo vinto anche il premio per fare il corso AIS a Benevento. Decisi, quindi, di rimanere e di andare a lavorare al ristorante Kresios a Telese. Giuseppe Iannotti, chef e patron, mi ha messo al centro dell’attenzione, sostenendomi anche quando ho commesso errori. Non immaginavo di trovare vicino casa un ristorante e una persona così. Iannotti ha creduto in me, mi dato fiducia e coinvolto in progetti ambiziosi. Ho capito, così, che in casa c’era l’occasione per realizzare qualcosa d’importante. In queste condizioni dai tutto e anche di più perché oltre gli obiettivi personali professionali ci sono quelli del tuo territorio.
Qual è, a suo avviso, il ruolo del sommelier in sala?
In ristoranti di un certo livello non si tratta di mero servizio, si conduce l’ospite a fare un’esperienza. Con quelli più intelligenti e aperti si instaura un rapporto che supera la serata. In alcuni casi si diviene amici e si impara molto perché sono persone che girano tanto. Finisci per scoprire che ne sanno più di te. La forza di chi lavora a ristorante, amo ripetere, è l’ospite. L’ospite ti parla di cose che non hai vissuto e ti fa viaggiare con i suoi racconti . Passo sette giorni su sette a ristorante e non ho tempo per viaggiare, tramite queste esperienze ti rendi conto di cosa c’è fuori.
Quel che lei dice, condurre l’ospite a vivere un’esperienza, richiede un lavoro a monte. Cosa fa, quindi, un bravo sommelier?
Innanzitutto un bravo sommelier studia, dà personalità alla carta dei vini che non possono essere inseriti superficialmente in cantina, adatta l’offerta al tipo di cucina che fa lo chef, ha un’idea degli abbinamenti. Tutto deve avere un perché. Il sommelier deve essere poliedrico e libero da abbinamenti precostituiti. Io, ad esempio, non mi limito a proporre solo vino ma offro anche infusi, succhi o cocktail. Occorre anche concentrarsi sulla funzionalità. In cantina a Telese, per esempio, ho 1700 etichette e devo farle girare, non posso proporre sempre gli stessi vini. Offrire sempre gli stessi vini stanca, io tra pranzo e cena cambio gli abbinamenti, ad esempio.
Lei ha parlato di relazioni con i clienti oltre che con il ristoratore e lo chef. Quali doti personali, a suo avviso, occorrono per svolgere bene il suo lavoro?
Guardi, vado spesso a parlare con gli studenti dell’alberghiero i quali mi chiedono quale maschera indossare in sala. Io sostengo che non bisogna indossare alcuna maschera, è essenziale essere se stessi. Certo occorre cambiare atteggiamento ma è un po’ come a casa quando ci si relaziona con i genitori o con i fratelli, gli atteggiamenti cambiano ma senza fingersi diversi da quel che si è. Direi, quindi, che la dote più importante del sommelier bravo è la capacità di adattarsi a ogni situazione, essere versatile mantenendo la propria personalità.
Quali sono i momenti di imbarazzo o difficoltà più difficili da gestire?
Ci sono clienti che mettono in difficoltà con richieste innovative ma questo fa parte del lavoro e la capacità di affrontare queste situazioni dipende dallo studio. Più difficile è affrontare l’ospite che non capisce un vino o quando si stappa un grande vino che l’ospite non percepisce come tale. In questi casi occorre grande equilibrio per cercare di portare l’ospite dalla tua parte. La condizioni peggiori, però, si verificano quando persone si presentano con l’obiettivo malcelato di metterti in difficoltà. In questi casi occorre una grande forza per mantenere il controllo.
Qual è la bottiglia più importante che ha stappato?
Glie ne dico due che mi hanno emozionato: uno Chenin Blanc del 1970, stappato giusto qualche mese fa, e un Montrachet del 1990 del Domaine Ramonet.
Per finire, ci sarà un suo vino preferito o che stapperebbe in un momento particolare?
Il vino preferito, in verità, va a periodi. Questo per me è il periodo dei grandi rossi. Opterei per un brunello Soldera oppure per un grande Nebbiolo. Per restare in Campania andrei su un vecchio Villa Diamante, proprio ieri l’altro ne ho stappato uno del 1998.
ragazzo umile e intelligente…stavo per invadere la Polonia prima di leggere…gli ultimi due nomi mi hanno fatto desistere…;-)