di Guido Bianchini
Sebbene la consueta vis polemica sull’attuale edizione del Festival Benevento Città Spettacolo si sia concentrata sulle solite e a dir poco ripetitive dicotomie qualità/quantità, nicchia/popolare, massa /élite, con categorie dunque forse incapaci di interpretare il mutamento quasi antropologico del pubblico dei nostri tempi, persino in una piccola realtà come Benevento, mi inquietava non poco il fatto che il ricco cartellone proponesse addirittura come evento d’apertura una discussione pubblica su temi bioetici come il fine vita e il testamento biologico, argomenti complessi, forse poco adatti sia all’intellettualismo di provincia, sia ad una manifestazione così variegata, ma marcatamente nazional-popolare (ammesso e non concesso che da queste parti questo termine possa essere usato senza perdersi in contrapposizioni sterili), da svolgersi per di più agli sgoccioli di una calda estate che sembra invitare più alla leggerezza che a riflessioni impegnative.
Il pretesto è stato offerto dalla presentazione dell’ultimo libro di Mons. Vincenzo Paglia, Arcivescovo di Terni e membro e Presidente della Pontificia Accademia per la vita: Sorella morte. La dignità del vivere e del morire (Piemme Edizioni, 2016), cui hanno preso parte in qualità di lettori-interlocutori, oltre al padrone di casa Clemente Mastella, Ortensio Zecchino e Antonio Bassolino, moderati dal giornalista e noto volto televisivo Gigi Marzullo. I dubbi sull’efficacia dell’evento si sono diradati a mano a mano che l’autore presentava l’oggetto del suo saggio. Ciò che colpisce del modo di porsi di Paglia è un efficace equilibrio tra la serietà dei temi trattati e la semplicità di un linguaggio diretto, ma mai banale, che anche quando scivola nel romanesco, non scade mai nella predica da curato di campagna. Esso serve a far capire che la sua prospettiva non prende le mosse da astrazioni teoriche, ma da esperienze dirette accanto a malati terminali o a persone che avvertono la vita come un peso non più sostenibile. Situazioni concrete in cui ognuno si può venire a trovare, soprattutto quando accade non ad un caso generico da statistica, ma ad una persona cara, la cui esistenza ci tocca da vicino. Il necessario astrattismo universale di una legge, di cui Paglia non nega affatto l’urgenza (e di cui si è evidenziata la complessità con gli interventi politici di Zecchino in una prospettiva più conservatrice, attenta alla salvaguardia del diritto alla vita in condizioni dignitose e in quella più progressista di Bassolino incentrata sulla libertà, da sancire con una legge ancora in itinere, di autodeterminazione del morente), risulterebbe dunque ancor più vuota se non smuovesse una riflessione etica.
Una parola spesso sulla bocca di tutti di cui Paglia rimarca e rivendica la natura relazionale e “altra”. Contro l’idea di uomini isola, senza appigli e contatti, chiusi nel sordido egoismo imperante, da uomo religioso, sottolinea l’importanza del legame con l’altro e si spinge oltre nel dire che bisognerebbe proiettarsi, non solo da cristiani, ma da uomini intrisi di umanesimo occidentale, verso un essere per l’altro, un altruismo radicale. Un orizzonte che riguarda l’uomo nella sua totalità, compresa la dimensione della morte. Un aspetto ineluttabile, ma spesso sottovaluto, nel senso che, come attestano i vari tentativi di edulcorazione linguistica delle pratiche di eutanasia, spesso si tende a mitigarne la portata drammatica e la legittima paura che da essa deriva. Un legittimo sentimento umano che non ha risparmiato neanche i grandi esempi di fede come Francesco D’Assisi, il quale pur chiamandola sorella ed accettandola come tale, non ne ha mai nascosto il lato tremendo di fine e limite dell’umano. Un senso del limite che secondo Paglia va preservato in quanto tale, senza slanci titanici, come possibilità di apertura a quell’altro per chi non crede che diventa Altro per chi crede, in cui è racchiuso il paradossale mistero della vita dall’inizio alla fine. Un dono che nessuna legge scritta può codificare perché coinvolge la natura creaturale dell’uomo. È evidente la matrice dichiaratamente cristiana della prospettiva di Paglia, ma il suo insistere sull’etica del dono può essere spunto e invito anche per i non credenti a far prevalere l’interesse per l’altro su “li fatti propri”. Paglia dunque pur insistendo sulla necessità di preservare la vita, non esclude che una riflessione autentica nella direzione del “per l’altro” possa portare anche a prospettive e soluzioni differenti, regolamentate dalla legge, purché esse siano dettate dall’ascolto dell’altro e non da un egoismo subdolo, volto ad applicare un decisionismo risolutivo alle complesse questioni riguardanti la gestione del vivente e del morente. Temi che per Paglia restano di carattere etico, prima di essere giuridici e politici, perché toccano la capacità umana di amare il prossimo facendogli sentire il suo valore e la sua essenzialità anche e soprattutto durante il fine vita, affinché l’accanimento terapeutico non si trasformi in abbandono terapeutico e in tentativo subdolo di eludere la responsabilità cui la sofferenza dell’altro ci chiama. Una responsabilità radicale che apre al dialogo con i non credenti perché antepone alle petizioni di principio la centralità della testimonianza d’amore insita nel messaggio di Cristo e presente nel cuore di ogni uomo che pur non riconoscendosi in Lui, intendono costruire un’altra idea o per meglio dire un’idea altra di civiltà e di comunità anche a partire da piccoli centri come Benevento.
Un richiamo forte, anche se espresso con toni pacati, all’impegno verso la costruzione di legami autentici e alla ricerca della condivisione, che dunque va ben oltre la sfera bioetica e ci invita a coltivare l’inquieta speranza di un vivere insieme che vada oltre le chiusure ideologiche e l’irrigazione degli orticelli da provincia cronica. Speranza flebile che al pari di quella che Paolo annunciava ai Romani, non vede, ma necessita di farsi sentire, collocandosi ad una frequenza più alta, proprio perché “altra”, rispetto al frastuono festivaliero degli ultimi mesi e al chiacchiericcio improduttivo che ne è seguito e purtroppo ne seguirà.