di Giancristiano Desiderio
L’altro giorno mi sono affacciato alla finestra della casa natale di Alfredo Parente a Guardia Sanframondi. Tutto è accaduto per caso ma di quel caso che sembra destino. Giravo per le terre e le vigne sannite straziate dal sole d’agosto e sono salito su a Guardia solo e pensoso e con i passi affaticati e lenti misuravo le strade calde e deserte mentre un fuoco interiore mi accendeva e Amore discorreva con me e io con lui. Giunto al centro del paese, in una piazza che è uno slargo ho alzato gli occhi sulla casa scalcinata e dorata che mi si parava innanzi e ho visto il marmo scolpito che mano ignota ha lì posto con la seguente scritta: “In questa casa/ il 4 luglio 1905 – nacque/ Alfredo Parente/ tra le figure più/ alte dell’Italia/ del XX secolo per/ i suoi studi, per/ la sua passione civile/ per l’impegno politico”. Mi sono fermato in religioso silenzio e come preso per incantamento ho sorriso mentre nella testa sentivo la voce lontana e rauca di un giovane Vasco Rossi che diceva “colpa d’Alfredo che con i suoi discorsi seri e inopportuni mi fa sciupare tutte le occasioni, ma prima o poi lo uccido”. Invece, la colpa d’Alfredo è per me opposta perché le occasioni me le ha donate con la sua opera fatta di pensiero e di amore e io, giovinetto, le ho colte come ho potuto leggendo tutto d’un fiato le dense pagine de Il tramonto della logica antica e il problema della storia che mi aprì la testa alla filosofia di Croce e, ancor più, fece conoscere me a me.
Ho fatto qualche altro passo verso la chiesa e sono giunto in Piazza Croce e notavo divertito l’ironia dei luoghi, delle vicende e dei nomi che sembravano prendersi gioco di me. Ho chiesto qua e là a un signore sull’altare trasformato in tavolo da lavoro con vestiti e paramenti ed a una signora seduta sull’uscio di casa cosa ne sapessero di Alfredo Parente ma sembra che della memoria del filosofo crociano qui a Guardia, dove ci si batte il petto nel nome dell’Assunta, si siano perse le tracce. Ma mentre parlavo con loro e temevo di mostrare il mio turbamento ho avvertito il bisogno di ritornare alla casa di Alfredo Parente come alla casa del padre. La vita è un’affacciata di finestra mi ripete sempre il mio Alfonso che scende dalle stelle e così mi ha preso forte il desiderio di affacciarmi alla finestra della casa del mio Parente. La casa è disabitata, messa male, ma la porta era aperta perché dei ragazzi stavano rimettendo ordine alla meno peggio tra bottiglie di vino andate e casse vuote. Ho chiesto di poter entrare e dare uno sguardo dicendo loro che era la casa del filosofo ma mi hanno guardato come si guarda uno sceso dalla Luna. Ho fatto un giro tra le stanze vuote e mi sono affacciato alla finestra per sapere come si vede la vita guardandola dalla finestra di Parente. E mi son ricordato ciò che diceva Isaiah Berlin che si può guardare la vita da molte finestre, e nessuna è necessariamente limpida o opaca, più o meno deformante rispetto a una qualunque delle altre. Non esiste la finestra assoluta e la nostra abilità o intelligenza o umiltà è quella di saper variare e provare ad affacciarsi a più finestre per capire l’effetto che fa e vedere il mondo con occhi diversi.
Ma affacciato che mi sono alla finestra della casa, come da un palazzo con cento occhi, ho visto la luce del giorno sorridermi e discorrere ancora una volta Amore con me e io con lui come salendo e scendendo la scala musicale. Perché affacciarsi alla finestra della casa di Alfredo Parente equivale a sentire la musica che lui seppe così bene interpretare con l’Estetica di Croce il quale, invece, diceva di essere sordo e – aggiungeva – “nessuno è perfetto”, grazie al cielo. La musica di Parente è ancora una volta quella dell’arte e dello spirito umano in cui la libertà è mezzo e fine a stesso mentre la dolorante umanità ascende claritate in claritatem ora cadendo e ora rialzandosi. I due grandi amori di Alfredo Parente sono stati la filosofia di Croce e la musica e ai suoi amori offrì come in sacrificio le sue forze e la sua vita operosa: i numeri della Rivista di studi crociani, che mi stanno innanzi con la loro copertina verde mare, sono un lavoro scrupoloso, ingegnoso e animato che aspetta ancora il cuore e la mente che saprà studiarli e squadernarli per “lumi sparsi”. Lo stesso lume che mi ha guidato fino alla sua casa e ha voluto che mi affacciassi alla finestra e alla vita.