di Giancristiano Desiderio
La storica impresa del Benevento che in un anno, dal 30 aprile 2016 all’8 giugno 2017, passa dalla serie C alla serie A ci impartisce tre lezioni che faremmo bene a non dimenticare. La prima riguarda proprio il calcio. Il Benevento ha riscattato Benevento e il Sud, si è detto. Ma è retorica, comprensibile ma retorica. La squadra di Marco Baroni, invece, ha fatto qualcosa di più: ha riscattato il calcio italiano. Il Napoli di Hamsik ha mostrato il più bel gioco dai tempi del Milan olandese ma non è bastato per vincere il campionato e il deluso soldato innamorato non ha mai perso occasione per ingiuriare la Juventus sempre sospettata di esser favorita dagli arbitri. La Juventus, a sua volta, con il suo gioco triste, come se ad allenarla ci fosse ancora Trapattoni e non Allegri, è stata spazzata via dalla verità di Cardiff in cui il Real Madrid è apparso come la luce del fulmine di Eraclito. Così oggi di tanta bellezza napoletana e tanta speranza torinese cosa resta? Il Benevento che con la sua favola ha dimostrato che il Gioco non è falso e marcio ma vero e vivo e chi vuol giocare sfidando se stesso più che il suo destino è ben voluto dagli dèi. La leggendaria conquista della serie A di capitan Lucioni, che ha donato l’abbandono e un pianto gioioso ad una città meravigliata di se stessa, ha la forza della riconciliazione. Il calcio italiano oggi è credibile grazie al Benevento.
“Siamo in serie A per restarci” ha detto Oreste Vigorito. E’ la seconda lezione. Il presidente del Benevento in undici anni ha ottenuto tre promozioni ma per avere le cercate e ora meritate soddisfazioni è passato attraverso sconfitte, rovesci e cadute che ha affrontato come chi sa che per combinare qualcosa di buono nel calcio e nella vita non c’è altra strada che il lavoro delle stesse avversità. A volte Oreste Vigorito, con quel nome classico, è sembrato più un padreterno che un presidente di una società sportiva. Irascibile, furioso, incazzaso, non ha mai sopportato critiche ma, da uomo intelligente, ne ha fatto tesoro. E oggi, dopo le discese e le risalite, “vieni, Oreste, vieni a prenderti quel che ti spetta” per virtù e per fortuna, come è giusto che sia. L’impresa di Vigorito è bella perché desiderata e ottenuta con la necessaria forza dell’organizzazione societaria che rende comprensibile e saporito il gol di Ceravolo al terzo minuto di recupero contro il Frosinone per la conquista dei play off. Anche il Caso ha la sua ragion d’essere e la Fortuna con la sua femminilità è amica degli audaci o, ancor meglio, di chi ha lavorato e si è industriato con una tecnica di conquista per volerla e amarla sapendo che ha le ali ai piedi.
Il Benevento è un passo, due, tre avanti Benevento. Le indica la strada: si vince anche senza la politica. E’ forse la lezione più bella per una città e una terra che si sono sempre votate alla politica per cambiare il proprio destino. L’impresa calcistica mette in fuorigioco la politica o, ancor meglio, i politici. Il risultato più importante nella storia del Sannio contemporaneo non si deve alla politica. E’ bene prenderne atto perché la vittoria del Benevento viene a dire che la città è migliore dei suoi stessi pregiudizi e delle sue auto-denigrazioni. Il Benevento cambia Benevento più di quanto non potranno mai fare tutte le forze politiche messe insieme con tutte le migliori intenzioni. La cambia se solo Benevento si lascia pensare, fare e immaginare al di là dell’unico registro politico con il quale fino ad oggi sia la città sia la terra sannita sono state interpretate e rappresentate incattivendosi. Non si tratta di escludere la politica ma più banalmente di ridimensionarla sapendo che è parte di un gioco più grande in cui la squadra sannita è vincente perché non ha più paura di giocare e ha imparato quanto sia ridicolo chi – chiunque sia – si presenta come il padrone del pallone.