di Gennaro Malgieri
Plaudiamo alla notizia della grande rassegna sui Longobardi annunciata in questi giorni. È’ un encomiabile progetto culturale che nasce in coproduzione tra il Museo Civico del Castello Visconteo di Pavia ed il Mann di Napoli. La rassegna, dunque, si svolgerà nella città lombarda, nel capoluogo campano e si estenderà, nella terza ed ultima fase, a San Pietroburgo. Sarà un evento di grande impatto storico e di grandissima bellezza considerando, da quanto si apprende, la notevole mole espositiva che, per la prima volta, verrà proposta in un contesto organico e filologicamente corretto.
“Longobardi. Un popolo che cambia la storia”: se non cambierà la prospettiva che di esso sappiamo e le sue arcinote fortune “italiane” connesse al contributo offerto alla costruzione della nostra identità nazionale, certamente affinerà la conoscenza su un periodo della storia patria e mediterranea complesso ed affascinante. Non potremo, dunque, restare insensibili alla rivisitazione dei costumi di un popolo e ad una pratica del potere che si sono intrecciati con gli usi e le tradizioni delle genti autoctone formando una varietà inedita nella Penisola fino ad assumere la specificità sulla quale è stata costruita buona parte della nazione italiana.
Dispiace che Benevento ed il Sannio non siano della partita, come si dice, in questa occasione culturalmente e storicamente rilevante. Eppure la città campana, non diversamente da Pavia per quanto capitale del regno, ebbe un ruolo di primissimo piano nel dispiegarsi della civiltà longobarda fino ad assumere le connotazioni di una vera e propria capitale “altra” e non antagonista in un’area che comprendeva Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Molise. Il Ducato di Benevento, poi eretto a Principato, costituì, insieme con il Ducato di Spoleto, infatti la cosiddetta “Longobardia Minor”, ma non per questo fu “minore” la funzione politica, militare e culturale che svolse nell’Italia meridionale.
Oltretutto, Benevento fu sostanzialmente indipendente fin dal principio della fondazione del Ducato, e fu legata alla corona reale longobarda solo durante il regno di Grimoaldo e dei sovrani succeduti a Liutprando. Dopo la caduta del regno, il Ducato beneventano rimase l’unico dei territori longobardi a godere di una non limitata indipendenza per circa trecento anni.
Non starò qui la ricordare la lunga storia longobarda nel Sannio e nel Mezzogiorno d’Italia, rimandando oltre che alla sterminata bibliografia in materia, all’opera di Paolo Diacono per chi volesse saperne di più ed alle varie storie più specifiche di Benevento tra le quali quelle di Vergineo e di De Antonellis (più recente).
Ma non posso trascurare di menzionare come tra Benevento e gli altri insediamenti longobardi si riscontrava una comunanza di elementi che ne facevano qualcosa di molto prossimo ad una “nazione”, come del resto “nazione” era stata quella Sannita (su cui non mancheremo di dire qualcosa prossimamente occupandoci di alcuni studi e riflessioni in merito). E neppure è trascurabile che se elementi linguistici, giuridici, religiosi erano comuni a Benevento e a Pavia, va menzionata l’autonomia culturale propria del Ducato beneventano che, tra l’altro, diede origine ad un particolare tipo di canto liturgico, il “canto beneventano” – i cui codici sono conservati nel millenario archivio benedettino della Badia di Cava de’ Tirreni il cui fondatore sant’Alferio Pappacarbone ed i suoi successori tennero particolari rapporti spirituali e politici con i principi longobardi ed al Ducato furono molto legati – caratterizzato da uno stile e un andamento non riscontrabili in altre espressioni musicali liturgiche del tempo, a cominciare dal gregoriano con il quale si sarebbe in qualche modo fuso al tempo di papa Stefano IX che sostanzialmente dichiarò l’espressione musicale beneventana “fuorilegge” anche se sopravvisse un po’ alla macchia. Ma anche la “scrittura beneventana” fu innovativa coniando una particolare forma di adeguamento del latino.
In un tale universo culturale, arricchito da forme architettoniche ed espressioni artistiche, Benevento ed il Ducato rifulsero per secoli dando il tono ad un’epoca significativa della storia europea e mediterranea soprattutto. Uno sguardo ai monumenti beneventani, ma anche alle strutture di molti borghi sanniti dovrebbe far riaffiorare un passato che non dovrebbe passare se soltanto ci si attivasse per tenerlo in vita.
E’ questo il motivo che ci spinge a rivendicare la “centralità” longobarda di Benevento e a rammaricarci nel contempo che in una occasione come la rassegna della quale abbiamo dato notizia il capoluogo sannita sia completamente assente, mentre sarebbe stato utile e storicamente corretto che ne fosse protagonista insieme con Pavia. Fa specie il coinvolgimento di Napoli, città bizantina che ricadeva sotto il Ducato, ma forse più che un’aporia della storia, si è trattato di un’opportunità vista la sua importanza e la capacità di attrazione che indiscutibilmente esercita.
Una sola nota polemica, se così la si vuol leggere. Non sarebbe il caso, profittando di questo evento, che le istituzioni politico-amministrative e culturali beneventane e sannite cominciassero a pensare un po’ più in grande, ad abbandonare il provincialismo e a volgere lo sguardo oltre i momenti festivalieri per ridare lustro ad una identità storica che non merita certo di essere dimenticata?