di Giancristiano Desiderio
L’altro giorno andavo a Napoli e davanti al muso dell’automobile, sulla strada che da Maddaloni conduce all’autostrada, è comparso un furgone che distribuiva frutta e verdura. In uno dei molti tira e molla del serpentone di macchine e camion, avvicinatomi di più al furgone, ne ho letto la provenienza: via S. Maturi, Amorosi. “Ma guarda un po’ dove è andato a finire” ho subito pensato sorridendo con leggera malinconia. Chi? Beh, quel S. Maturi che ai più, forse, non dirà nulla o poco e invece a me ha fatto compagnia per il resto del viaggio, almeno fino al casello di Caserta-sud, quando sono andato verso Napoli e lui, con il suo carico di frutta e verdura, ha imboccato il viale Carlo III. Quella S. sta per Sebastiano e Sebastiano Maturi da Amorosi – dove c’è ancora il bel palazzo gentilizio al quale ogni tanto ritornava per sosta e per consiglio – è stato un filosofo della scuola di Bertrando Spaventa e Augusto Vera che potremmo fare accomodare, senza fargli torto, alla destra del Padre, alla destra di Hegel.
Quest’anno cadono i cento anni della morte e il povero Maturi morì proprio cadendo: finì sotto un tranvai. I filosofi a volte hanno la testa tra le nuvole e la distrazione, soprattutto quando si attraversa la strada nelle moderne giungle d’asfalto, può risultare fatale. Cominciò subito Talete che per guardare il cielo finì in un pozzo o in un fosso e fu irriso dalla servetta tracia che lo accudiva, ma si salvò. Invece, non ci fu nulla da fare per il vecchio Sebastiano Maturi che sotto il tranvai fece una morte brutta assai. Benedetto Croce – con il quale l’hegeliano di Amorosi ebbe buoni rapporti tra lettere, visite, una relazione scolastica pubblicata su La Critica, oltre qualche fastidio pratico per il pensionamento – vedeva in Maturi non solo un buon insegnante ma anche quel purus philosophus che con tutta la sua filosofia generale, che sa tutto e non sa niente, doveva essere “ucciso” per lasciare il campo al pensiero che versato in cose storiche e vitali ha per suo contenuto proprio la storia dalla quale viene e alla quale va. Il Maturi era hegeliano a tutto tondo ma così tondo che vedeva in Giovanni Gentile una sorta di nuova incarnazione di Hegel e di Spaventa. Un portento, insomma (e, forse, non aveva tutti i torti visto che lo stesso Gentile pensò che con il suo atto puro si potesse fare tutto).
Da Amorosi, dove nacque nel 1843, Maturi vedeva il pensiero hegeliano come la soluzione di ogni impiccio e, in verità, un po’ aveva ragione e un po’ aveva torto, un po’ come accade a tutti coloro che, come il venerabile Jorge, ritengono che non ci sia vero progresso nella verità ma solo una continua e sublime ricapitolazione. La perenne ricapitolazione del Maturi è l’universale concreto con cui Hegel unì l’essere e il nulla nel divenire e fece del pensiero la forma della conoscenza e della creazione del mondo nella quale la vita stessa, con la sua danza bacchica, si riversa per sapersi e per lavarsi come in un lavacro per poi scappare per continuare a ri-fare il mondo e vivere. Nel cuore e nella mente di Sebastiano Maturi c’era per davvero la forza di questo pensiero e l’ossessione della verità che è propria del purus philosophus e perfino i titoli dei suoi scritti – otto in tutto – recano la traccia di questa malattia come se fossero ferite e cicatrici: La filosofia di Giordano Bruno, L’ideale del pensiero umano ossia la esistenza assoluta di Dio, Uno sguardo generale sulle forme fondamentali della vita, L’Idea di Hegel, Principi di filosofia, Una relazione scolastica, La filosofia e la metafisica e soprattutto Soluzione del problema fondamentale della filosofia. Sennonché in filosofia, proprio da Hegel in poi, non c’è soluzione finale o fondamentale o verità definitiva perché il pensiero per “funzionare” deve essere alimentato dalla vita e dalla storia con i loro enigmi e problemi, dolori e ostacoli che chiedono di essere rischiarati, mangiati e digeriti. Il Maturi si fermò proprio quando doveva iniziare e aiutare la coscienza del pensiero, per dirla con Nietzsche, a diventare ciò che è: esercizio del giudizio giacché il pensiero o è storico o non è.
Mentre guido e quasi inseguo il furgone che porta a spasso il nome dell’ignoto filosofo, questi pensieri mi visitano e la guida dell’auto ha questo strano potere di far muovere schiere di pensieri che in modo naturale trovano problemi e qualificazioni. Ogni filosofo se ben collocato nella storia e nella storia della filosofia – ossia se ben compreso nel dramma mentale e vitale che lo avvinse – ha qualcosa da dirci con la sua “verità definitiva”. E’ come se un cuore, che un giorno si fermò per sempre, anche sotto le rotai di un tranvai, riprendesse a battere. Non bisogna poi essere troppo severi con Sebastiano Maturi. Il tempo in cui visse fu difficile per il genuino pensiero filosofico e la sua volontà di rischiarare e riepilogare la tremenda triade logico-metafisica del Logo, della Natura e dello Spirito è ai miei occhi nota di merito e difesa della umanissima facoltà di pensiero. La dovette pensar così anche Mario Dal Pra che nel 1943, a cento anni dalla nascita, dedicò al filosofo di Amorosi una bella monografia pubblicata a Milano presso Fratelli Bocca Editori: Il pensiero di Sebastiano Maturi. Ancora oggi quel libro, al quale fece seguito qualche anno dopo lo studio di Augusto Guzzo edito da Morcelliana, Maturi, è un valido testo per scoprire l’hegeliano di Amorosi che anche se fu allievo di Bertrando Spaventa fu più ortodosso del maestro nella salvaguardia dell’Idea di Hegel. Ma al Maturi ha dedicato al principio del nuovo millennio qualche fatica di pensiero e di archivio anche un suo conterraneo come Antonio Gisondi di Dugenta con il volume edito da Rubbettino Forme dell’Assoluto. Idealismo e filosofia tra Maturi, Croce e Gentile. Tutto sembra tornare, anche il volto austero del filosofo di Amorosi che, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza continuò a frequentare la scuola dello Spaventa, dopo aver seguito le lezioni di Augusto Vera, e accantonò l’idea della vita in magistratura per dedicare l’esistenza alla povera e nuda filosofia. Così nel 1869, proprio a seguito dell’uscita del suo scritto sulla Soluzione del problema fondamentale della filosofia – scritto dico, perché il Maturi non pubblicò testi completi ma discorsi, interventi e relazioni – ottenne l’abilitazione ad insegnare nei licei. Che bella cosa che era questa: per metter piede in una scuola si doveva lavorare a qualcosa e, in fondo, scrivere qualcosa di filosofia è il miglior modo per orientarsi nel pensiero. Lo mandarono a Trapani nel 1871, dieci anni dopo l’unità d’Italia, poi a Chieti, Messina, Avellino e nel 1891, vent’anni dopo, approdò a Napoli con la libera docenza in “filosofia hegeliana”, come su proposta del kantiano e anti-hegeliano Carlo Cantoni si espresse il Consiglio superiore dell’istruzione; ma siccome gli studi filosofici in quell’università – come poi scrisse Gentile – gli parvero avviati “a rotta di collo a ruina”, Maturi se ne andò e continuò il suo insegnamento liceale fino al 1911. Non è per nulla un caso che proprio Croce il 23 ottobre 1903 scrisse, a seguito del “caso Gentile”, una lettera al Maturi nella quale diceva di voler dedicare le sue forze “a suscitare un movimento filosofico fuori della cerchia universitaria, divenuta un ambiente mefitico. La filosofia non è negozio da mercenari: è opera che richiede animi liberi”. Il Maturi, questo filosofo sannita che afferrò il logos hegeliano come l’essenza stessa della filosofia dai Greci a noi, fu un animo libero e vedere il suo nome dietro un furgone che va in giro per il mondo a consegnare frutta e verdura è un segno di simpatia e vitalità.