di Giancristiano Desiderio
I disoccupati sono il nuovo proletariato. Come i proletari si dovevano unire per far valere la loro forza e collettivizzare i mezzi di produzione – secondo l’analisi e la dottrina di Marx e di Engels – così i disoccupati si devono connettere per far pesare la loro intelligenza e diventare l’avanguardia di una società libera dal lavoro produttivo. I disoccupati, infatti, non sono destinati a diminuire ma a crescere. Tanto vale, allora, organizzarsi.
L’ultimo libro di Domenico De Masi – che sarà presentato l’11 aprile alla Biblioteca Michele Melenzio di Sant’Agata dei Goti – s’intitola Lavorare gratis, lavorare tutti (Rizzoli). Si tratta di un testo che per il sociologo che ha legato il suo nome allo studio del passaggio dalla società industriale alla società postindustriale è una sintesi aggiornata delle sue ricerche e del suo pensiero. Il libro contiene una storia del lavoro raccontata – possiamo dire – dal punto di vista della disoccupazione. In una società in cui il lavoro è alla base di tutto, la disoccupazione è un problema; ma in una società in cui la disoccupazione cresce esponenzialmente, il “tempo libero” dal lavoro non può essere un problema ma una risorsa. Hannah Arendt nel suo splendido Vita activa poneva la questione così: la nostra educazione è orientata al lavoro, ma cosa succede agli uomini e alle donne programmati per lavorare se viene a mancare il lavoro? E’ necessario ripensare la stessa educazione e avere un nuovo Umanesimo in cui uomini e donne non si sentano spaesati e non siano poveri se non hanno nulla da fare. Ecco perché il libro di Domenico De Masi non è un testo di economia e nemmeno – mi perdonerà – un libro di sociologia ma un saggio sulla esigenza di una nuova educazione del genere umano.
Tutto il testo ruota intorno a un problema: lo sviluppo senza lavoro. Non solo la produzione di beni e servizi è sempre più svincolata dall’occupazione di lavoratori, ma in un futuro non lontano la produzione sarà affidata alle macchine e l’uomo sarà libero dalla necessità di lavorare per produrre. Ieri a perdere il lavoro sono stati gli operai, oggi sono a rischio i dirigenti. La disoccupazione non è la figlia della pigrizia ma della stessa produzione automatizzata. Le macchine che liberano l’uomo dalla maledizione biblica lo conducono in un inferno camuffato da paradiso? Se così fosse non ci sarebbe altro da fare che cedere alla tentazione luddista e tornare indietro: il progresso sarebbe il regresso. Ma se la “liberazione dal lavoro” non fosse una catastrofe bensì un’occasione? Allora, qui nasce l’esigenza di una vita nova, di un Umanesimo nuovo in cui l’uomo liberato dal lavoro faticoso, stressante e alienante sia educato alla libertà.
Quel che serve, dunque, è una superiore educazione spirituale in cui gli uomini non siano educati a produrre – giacché le macchine faticano per gli uomini – ma a vivere liberamente secondo un lavoro che non è finito ma si è trasformato o umanizzato. La fine del lavoro produttivo, infatti, non implica la fine della necessità di lavorare la vita. Anzi, è il contrario: rende questo bisogno di lavorazione della vita ancora più impellente. C’è un modello: l’Atene di Pericle. Qui il lavoro fisico e esecutivo era affidato a 250.000 schiavi e tutto il tempo dei 60.000 cittadini liberi era impiegato in attività ludiche, intellettuali, ginniche e belliche. Ad Atene, tra il 500 e il 372 a.C. vissero e operarono Anassagora, Pindaro, Eschilo, Sofocle, Euripide, Socrate, Platone, Aristotele, Fidia, Mirone, Prassitele. Furono loro a creare la convivenza democratica, ricreare l’uomo, dargli un senso ed a lottare con gli stessi Dei. Ma in giro gente così non ne vedo e – mi pare di capire – non la vede neanche De Masi che a questo punto sfodera la sua proposta-provocazione: “Disoccupati di tutto il mondo, connettetevi: lavorate gratis, lavorate tutti”. Come? Creando una piattaforma software, una app e un sito che mettano in contatto chi cerca un determinato tipo di lavoro con il disoccupato in grado di soddisfare la sua domanda gratuitamente. Insomma, una sorta di Uber o di Upwork che mettendo in contatto gratis domanda e offerta faccia saltare per aria il banco dell’attuale mercato del lavoro che da una parte produce disoccupati e dall’altra replica culturalmente se stesso. In gioco c’è qualcosa di più di una rivoluzione: una nuova educazione.