di Giancristiano Desiderio
L’altro giorno, sotto l’acqua, sono andato a Solopaca, a due passi da casa, e ho incontrato l’amico Gennaro Malgieri che mi ha donato, come spesso fa, tre libri: un poemetto inedito di Baldassarre Fasani ‘A tempèra P’avé ‘na razia, le memorie ottocentesche dai Borbone ai Savoia dei notai Romanelli e, infine, Nietzsche in Italia di Guy de Pourtalès. Sono tre testi che sembrano lettere tra loro disparate e, invece, stanno bene insieme, non fosse altro perché sono un dono gradito. Secondo il mio amico, il Fasani è “uno dei più grandi poeti dialettali meridionali del secondo Ottocento e del primo Novecento” e le quartine del poemetto son degne di “stare accanto alle prove liriche di più acclamati e noti poeti quali Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo”. Non saprei dire, ma mi fido di Gennaro e, soprattutto, mi godo queste davvero godibilissime 131 quartine venute alla luce grazie alle fatiche erudite di Cosimo Formichella al quale si deve anche la tutela e la trascrizione del prezioso documento memorialistico dei Romanelli. I solopachesi si rivolgono alla Madonna per avere una grazia: la pioggia. Il poemetto si apre con la visione della Madonna del Roseto che in Paradiso è seduta tra gli angeli – ‘mmiezo all’angiol’ assettata – ed è circondata dalle rose – tutt’ ‘e rose conturnata. La Madonna si rivolge al figlio suo Gesù e dopo un’indagine dei Santi di Solopaca, che per poco non finisce in zuffa, la Madre e il Figlio concedono la grazia: “E sia fatto. E mo’ tu Mamma/ benedici chistu figlio/ E tu Dio de gran Consiglio/ de sta Figlia ‘on te scordà”.
Ma che c’entrano Gesù, la Madonna e tutti i Santi con l’autore de L’Anticristo? A Genova, dove soggiornò qualche tempo, e dove, con gli aforismi veneziani, finì di scrivere Aurora, Nietzsche era soprannominato dai genovesi, che lo vedevano sempre solo con un libro in mano e la borsa a tracolla, saggio dolce e cortese, “il Santo, il piccolo Santo”. C’è da stupirsi? Per chi non ha letto Nietzsche e lo ha solo orecchiato sui manuali sì, ma chi lo ha letto e magari sofferto e ha accanto a sé la sua ombra di viandante la meraviglia è quella, semmai, di aver trovato un compagno di viaggio in cui il Paradiso, proprio quello in cui è assisa tra angeli e rose la Madonna del Roseto, non è un luogo ma uno stato del cuore. Nietzsche era un cristiano senza Chiesa che amava la vita fino in fondo, fino in fondo al dolore e alla sofferenza gratuita, senza redenzione. Tutta la filosofia di Nietzsche è tra un no e un sì: il no alla vita di Schopenhauer che fugge perché la vita è dolore, e il sì alla vita di Nietzsche che resta fedele alla terra – “vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra” – e la redime, come un nuovo Spinoza, dalle ingiurie dei metafisici, dei moralisti, dei preti.
Gennaro Malgieri ha voluto pubblicare il Nietzsche in Italia di Guy de Pourtalès con historica edizioni e come primo testo della collana La Biblioteca Ritrovata da lui ideata e diretta. Non era per nulla facile, infatti, reperire questo prezioso libretto che Guy de Pourtalès pubblicò nel 1929 e dedicò a Paul Valèry con “la logica assurda ma tenace del cuore”. In Italia fu pubblicato nel 1945, mentre io ne ho una copia, scovata un bel po’ di tempo fa in una libreria romana a Campo dei Fiori sotto lo sguardo del grande Nolano, del 1996. Dov’è l’importanza di questo testo? Nell’Italia. Quando Nietzsche giunse in Italia per la prima volta nell’autunno del 1876 aveva trentadue anni e benché avesse scritto e pubblicato la Nascita della tragedia il suo pensiero era ancora in cammino ma – cosa ancora più decisiva – la sua vita doveva guarire da se stessa e Nietzsche doveva trovare se stesso. Non è né un caso né un dettaglio: Zarathustra parlò in Italia. I libri più importanti e maturi di questo filosofo greco – mediterraneo – nato in Germania furono concepiti e scritti in Italia: a Sorrento scrisse Umano, troppo umano, a Venezia e Genova scrisse Aurora e la sua continuazione che è La gaia scienza, sbarcò a Messina e scrisse gli Idilli di Messina, i primi libri di Così parlò Zarathustra furono scritti in Liguria, Ecce Homo fu scritto a Torino e poi gli appunti, i frammenti, le lettere, i biglietti, la pazzia. L’intuizione dell’eterno ritorno Nietzsche l’ebbe – come dice lui stesso – a Sils-Maria, in Alta Engadina, un piccolo villaggio di pastori ai margini del dolce lago Silvaplana “a 6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo”. Tuttavia, “lassù – noti tu, Gennaro, giustamente -, tra quei monti silenziosi, si portò tutto quanto aveva raccolto in Italia”.
Una volta Croce ha detto di Hegel che la sua scoperta di alta logica in realtà è una scoperta di alta etica: è la comprensione del male o la redenzione del mondo dal male che è visto nel suo ufficio di irrequieto elemento vitale. Il pensiero e la vita di Nietzsche, questo anti-hegeliano immaginario come diceva Croce, sono in questa redenzione senza neanche un Dio nascosto e, vorrei dire, le nostre stesse piccole vite sono in questo tentativo di redenzione in cui invochiamo le rose del cielo e aiutiamo noi stessi nel cristianissimo compimento del lavoro quotidiano per trasformare il male in forza di bene.