di Guido Bianchini
In principio fu la libreria Luidig, una scommessa incastonata lungo Corso Garibaldi. Un posto dove l’amore per i libri aveva la preminenza, purtroppo o per fortuna, anche sulla vile, ma pur sempre necessaria pecunia. Ricordo perfettamente la prima volta che vi misi piede. C’era un incontro di un fantomatico “Club dei suicidi” e una serata dedicata a Dostoevskij. Ora come allora resto convinto che lì si sia fermato l’orologio e pure la letteratura successiva non è che una glossa allo scrittore russo. Già che nella mia città si parlasse di cose del genere mi fece sobbalzare, che lo si facesse con passione perché gli astanti non era lì a spararsi pose intellettuali, ma amavano ciò di cui parlavano e soprattutto lo avevano letto, mi destò quella sana meraviglia che secondo Aristotele è il viatico del sapere. Fu quella la molla che mi spinse a posarvi le tende nonostante, lo ammetto, il primo impatto col libraio naif, devoto di Carmelo Bene, non fu dei migliori. Capii in poco tempo che quell’esuberanza, pur potendo sembrare saccenza nascondeva un desiderio sincero di far conoscere quel suo e non solo suo mondo di carta e inchiostro che andava ben oltre lo zelo enciclopedico e trovava la sua ragion d’essere in legami forti mai recisi. Chiusa la mia vita universitaria, ero animato da un desiderio analogo: volevo far conoscere la filosofia, ciò che mi aveva letteralmente cambiato la vita, pur senza alcuna folgorazione, a persone comuni, lontane dalla ristretta cerchia degli studiosi.
Sorpresa nella sorpresa fu trovare una comunione d’intenti e massima disponibilità in uno che faceva e fa del rigore scientista la sua bandiera e quasi inorridisce di fronte a qualsiasi sentore di metafisica, però mi lascio piena libertà e fiducia, sebbene fossi un signor nessuno la cui vita fino ad allora si era svolta sui libri, sul tratto di autostrada che collega Benevento a Fisciano , ignorando del tutto quel grande circo equestre dei cultori di cultura di questa città, presunti o effettivi che siano. Adesso che molti, forse troppi, si arrogano diritti di primogenitura, ripenso con nostalgia a quella prima investitura ingenua, a quella prima infusione di coraggio, senza la quale, per la gioia di molti, sarei ancora relegato tra le mie quattro mura. Fu quella la prima volta in cui parlai in pubblico di filosofia, limitandomi a introdurre altri che all’epoca avevano già l’aura di cultori della materia. Non fu un successo stando al pubblico esiguo ma affezionato, ma fu una bella occasione per mettere in circolo ciò che amo.
A distanza di un lustro, al Bibliofilo, posto che già nel nome evoca l’amore per i libri, gestito da un libraio altrettanto naif, sebbene sia agli antipodi del primo per il suo marcato spiritualismo cosmico, mi è sembrato di tornare indietro nel tempo con una consapevolezza nuova. La passione è la stessa di sempre, ma si è temprata con l’approfondimento, con la scoperta solitaria della sapienza ebraica come ulteriore anello per forgiare la mia visione del mondo per tentare di trasformare la mia passione in professione. In tal senso occasioni come questa sono un buon banco di prova, non tanto per dimostrare erudizione e provarne effimero compiacimento, ma per sperimentare sulla propria pelle quanto ogni sapere, per quanto piccolo, non è nulla senza la possibilità di donarlo agli altri e senza quell’altro che ti viene incontro offrendoti il suo ascolto e il suo tempo, offrendo ospitalità alla tua parola e a ciò che Platone nel Cratilo chiamava chroma, ovvero quel “colore passionale”, quella intenzione emotiva che in essa è racchiusa e rende ogni comunicazione, per quanto limitata e perfettibile, perlomeno autentica.
Forse il senso primo e ultimo del mio “mestiere”, anche se stento a definirlo tale, non è tanto il trasmettere verità, che mi farebbero sentire più un predicatore che uno studioso, è quello di offrire tempo, impegno e sincerità, profusi nelle giuste dosi per restituire la profondità di pensiero dei diversi autori, di cui, di volta in volta, mi servo e dietro cui mi maschero, per comunicare la bellezza, mai priva di fatica, di un’esistenza votata alla ricerca dell’altro, all’incontro inquieto ed inquietante con le sue domande e con il vissuto unico e irripetibile che ognuno incarna.