di Antonio Medici
Capita l’impensabile in questo mondo dai ritmi forsennati e dalla mobilità ultraveloce. Gli ambiti di lavoro si dilatano e così pure quelli dello svago. In poco più di tre ore eccomi fiondato in una Toscana minore e insolita. La Garfagnana è uno spicchio di terra disteso lungo le sponde del Serchio e compresso tra le estreme propaggini delle Alpi Apuane e l’Appennino Tosco-emiliano. Paesi arroccati, campanili squadrati, alberi, rocce, vapori d’industria che si miscelano ai ciuffi di nuvole inceppati tra valloni aperti sui fianchi dei monti . Non c’è quasi vite qui, in compenso cereali, legumi, salumi, prelibatezze misconosciute. Il pane con le patate, il fagiolo rosso, il prosciutto bazzone, il biroldo e i testaroli, ereditati o in comune, a seconda del racconto cui si vuol credere, con la confinante Lunigiana.
Si tratta, dicono qui, della pasta più antica che vi sia. Poco importa se sia vero o meno, rileva invece la peculiarità di questa preparazione, sfuggita, per altro, per oltre un ventennio ad ogni mia curiosità e lettura gastronomica. Una pastella lenta di acqua e farina di grano o di farro, antico olio di gomito per far incorporare aria al composto, un pizzico di sale, questi gli ingredienti. Il testo da cui la pasta prende nome, è una sorta di forno primordiale: un disco di terracotta o di ghisa incoperchiato e esposto al calore rovente della brace. Su di esso la pastella viene stesa a cuocere. Se ne ricava un disco di pasta soffice, sottile e leggermente gommosa poi tagliato in quadroni destinati a passare rapidamente in acqua bollente. I testaroli così son pronti per essere conditi tipicamente col pesto. Attenzione, però, la salsa che si prepara in Garfagnana e Lunigiana in comune con quella ligure ha solo il nome e la screziatura verde. Imperano qui i pecorini, sicché la versione locale del rinomato condimento è sostanzialmente una crema di formaggio aromatizzata con basilico.
Una punitiva educazione familiare non ha mai reso agevole, pur innanzi al più impetuoso desiderio, chiedere all’oste di rifondere il piatto. Il famigerato bis, e dunque l’inverecondo cedimento ai sensi, è sempre stato un peccato quasi mortale e comunque l’origine di tormenti da sensi di colpa per almeno un paio di mesi. Ebbene in questo caso senza tentennamenti è sfuggito un grido: Marcello, bis per favore.
Terra di corruzione l’aspra Garfagnana. Già era capitato di capitolare innanzi al tegame di tubetti con fagioli rossi, in parte passati. La spendita delle più remote risorse dialettiche e la promessa di torroncini e mozzarelle a nulla sono valse: serba l’oste il riserbo più assoluto sulle sue manipolazioni. Non è dato, dunque, apprendere qual segreto conduce ad una bontà superiore, più afferente alla spiritualità che non ai piaceri terreni. Le conoscenze di anni e anni passati a tavola oltre che ai fornelli inducono a sospettare non risieda nella cremosità il plus di questa divina pasta e fagioli e manco nelle mere caratteristiche organolettiche del legume. Quegli aghetti di rosmarino di tanto in tanto emergenti tra la cremosa amalgama di tubetti e fagioli sono indizio di una spregiudicato eppur apprezzabile profusione di erbe aromatiche, di cui, del resto, in Toscana è uso adoprare con tocco affatto delicato.
Valicata la soglia della dipendenza da queste prelibatezze, e da altre di cui poi magari si canterà, sarà difficile imboccar la retta via di casa.
Racconto gastronomico ispirato da reiterate cene al ristorante Milano di Borgo a Mozzano (LU).
Hotel Ristorante Milano
Borgo a Mozzano – Via del Brennero, 8
Tel. 0583 889191