di Guido Bianchini
Benevento sorge in una conca scavata col tempo dal Sabato e dal Calore. L’acqua ne è dunque elemento morfologico essenziale. Sembra una mamma premurosa che ha preparato un caldo letto, anche se spesso umido, dove le generazioni potessero prosperare e diventare quella gens fortissima italiae, quel fiero popolo, pronto a dare, secondo le cronache di Tito Livio, filo da torcere persino al più grande impero della storia. L’acqua però, come tutta la natura di leopardiana memoria, può essere matrigna, ribellarsi alla tracotanza dell’uomo che la depreda per lasciar spazio ai suoi spazi, alla smania di rendere tutto abitabile, anche laddove occorrerebbe lasciare essere le cose così come sono, senza forzare la mano perché ci si sente padroni e non custodi di un territorio. Il contraccolpo è, tuttavia, spietato. Le lezioni della natura non sono argomentative, non seguono le logiche umane, le spiazza. La natura costipata , d’improvviso sbotta, sussulta e tracima senza perché, travolge tutto e tutti, riaffermando brutalmente il suo primato. Se l’acqua diventa Malacqua (per citare il titolo di un bel libro dimenticato e poco noto di Nicola Pugliese, cui penso ad ogni pioggia fitta) allora tutto cambia. Cambia il paesaggio , i luoghi perdono la loro specificità, tutto precipita in un indistinto acquoso e persino le case, segno di familiarità e progetti futuri, diventano antri angusti e simbolo di sogni destinati a scivolare via, a galleggiare in tanti piccoli naufragi emotivi ben più dolorosi delle perdite materiali. Quando c’è “malacqua” la morfologia e la geologia si accavallano alla fisionomia. I volti , cartine al tornasole dell’esistenza, si deturpano più di tutto, si spengono di colpo e il sorriso lascia il posto al ghigno amaro della rassegnazione più che al pianto. La fierezza sannita è tornata ad esprimersi in quei giorni nell’estrema dignità del lutto emotivo e nella tenacia del fare che non lascia tempo al pensare. Come sapevano bene i greci, la tragedia è una via stretta, ma ineluttabile e immediata per l’etica. Quel contraccolpo emotivo, quell’onda anomala generata dalle immagini del disastro, se da una parte, per alcuni, è stata l’ennesima occasione per esibire il proprio narcisismo, ammantato di eroismo, dall’altra per tanti (credo i più) è stato uno sprone per scoprirsi fratelli, con-cittadini, abitatori di uno spazio comune da con-dividere e difendere con forza.
Spesso l’orgoglio sannita sembra solo uno slogan da stadio, in quei giorni invece è sembrato incarnarsi in persone sporche di fango che lo spalavano insieme, senza seguire le solite logiche da orticello, da chi sono io e chi sei tu che spesso ingessano e paralizzano il fluire comunitario della vita di provincia. In quei giorni questo orizzonte troppo ristretto è stato messo da parte, se non addirittura sparito, senza proclami e sermoni, senza l’ingorgo della retorica. Era semplicemente scritto nei volti decisi di chi portava aiuto e in quelli più distesi di chi lo riceveva. Si potrebbe ascrivere tutto al sentimentalismo del momento, sostenere con lucido realismo che l’onda emotiva scemerà con gli anni e tutte le divisioni riemergeranno dal fango che le ha invece sorprendentemente annullate. Prima ancora di preoccuparci di far riemergere materialmente la nostra città, bisognerebbe impegnarsi a conservare e mantenere vivo questo spirito comunitario, affinchè sia non un fatto occasionale dettato dall’emergenza, ma una sacrosanta costante della nostra vita collettiva. Una coscienza di popolo, spesso sopita, che se risvegliata ha dimostrato di saper resistere persino all’ impeto di “malacqua”.