di Antonio Medici
Critica gastronomica, questa dispersa. Basta veleggiare nel web, googlando “foodblog” per finir sospinti verso attracchi pervasi di oscena vacuità, dissimulata solo in rari casi da una patinatura di foto hd, eloquentemente taggate #foodporn; basta anche leggere, sparsi qui e lì sulla carta stampata, i trafiletti rubricati “a tavola”, “vini e cucine” et similia, per lo più stantii se non addirittura muffiti, essendo copie o riassemblaggi di recensioni (sic!) già scritte per guide più o meno blasonate; basta immergersi nei paginoni monotematici periodicamente sparati sui quotidiani e scoprire, con minimo sforzo, come la firma sia la stessa del giornalistone che sino a qualche minuto prima ha curato la campagna promozionale o il contest (il T9, provocatore, mi suggerisce “congest”) o la direzione del convegno, guarda caso, proprio di quel vino, prodotto o ristorante cui è dedicato il paginone stesso; basta scambiare due parole con qualche ristoratore in vena di sincerità, a fine serata davanti ad un cicchetto di rum; basta uno sguardo a tutto questo per capire che la critica gastronomica è un circo monotono e affaristico, un bel po’ corrotto. Una quindicina di paroloni in tutto (tradizione, territorio, innovazione, storia, presidio ecc.) cui avvinghiarsi per compiacere chef, ristoratori, enologi, vignaioli e la fomentata bramosia dei lettori di sentirsi conoscitori della materia da poter esibire in smargiassate nei convivi.
Come per fortuna in ogni altro fenomeno della nostra esperienza terrena esistono le eccezioni, rare e belle. Una di queste risponde al nome di Valerio Massimo Visintin. Per le pagine milanesi del Corriere della Sera e alcune altre paginette online analizza e indaga il radioso mondo dell’enogastronomia, premurandosi, tra l’altro, di conservare l’anonimato per visitare, senza condizionamenti di sorta, templi e inferi della ristorazione.
“Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi”, è il suo ultimo libro. Una raccolta di sferzanti e sarcastici scritti che squarciano il velo sudicio della comunicazione gastronomica per tracciare una mappa, a tratti scabrosa (come nel caso dell’infiltrazione malavitosa nel mondo della ristorazione) a tratti satirica, a tratti tenera, ma sempre autentica, del panorama del food e del suo posticcio circolo mediatico.
La quindicina di parole in cui, come detto, si esaurisce la prosa sgrammaticata dei “fuffblogger” o dei “columnist” del food, Visintin le usa solo per denunciarne l’uso surrettizio, il suo vocabolario essendo ben più ampio ed articolato. Gli articoli del critico mascherato, così detto perché va in giro per manifestazioni pubbliche col volto coperto al fine di conservare l’anonimato, sono così ben scritti che rischiano di suscitare interesse in chi anche solo per caso vi incappasse. I suoi pezzi, del resto, non si limitano al compitino, pur lodevole per schiettezza, di “criticare” questo o quel locale, piuttosto, con ingegno lucido ed ironico, scandagliano fenomeni, personaggi, tendenze, eventi, mettono in luce tic, manie, perversioni, si interrogano sul senso odierno del mestiere di critico gastronomico.
L’expo diventa così il luogo di una follia collettiva in cui gli italiani imparano il piacere della fila, Bottura è il cuoco, filosofo del nulla, i presunti inviati alle inaugurazioni mutano InviTati speciali pronti ad azzannare le mani dei camerieri, ritenendo di dover sbafarsi di qualsiasi cosa gli passi a tiro, alcuni indizi inquietanti definiscono i ristoranti da cui fuggire a gambe levate. C’è anche un prontuario di frasi lapidarie per il caso di particolarmente disdicevoli disservizi. Visintin non le ha mai profferite per non denunciare il suo ruolo, dice, le scrive per esecrare fastidiose magagne, suggerisce di riservarle agli osti, ove se ne avesse il coraggio, anche per vendicarlo.
In definitiva, un mondo schizofrenico messo a nudo dallo sguardo acuto di un “uomo di penna”, come si definisce a più riprese. Un uomo odiato dalla gran parte dei suoi colleghi, che lavora con “poche regolette, semplici ma rigorose: non mi presento mai, mi travesto da uomo nero nelle occasioni pubbliche e non mi faccio fotografare nemmeno dagli amici”.
Deve esserci, tuttavia, un gran sentimentale dietro la maschera nera, non si spiegano altrimenti i frequenti echeggi di Caterina e i due pezzi, teneri ed intimi, posti a chiusura del libro “Il sommelier di sorrisi” ed “Era mio padre”.
Valerio Massimo Visintin
Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi
Terre di Mezzo Editore – € 12