di Amerigo Ciervo
Pasquale (che ha ascoltato il dottore, assieme a Ninuccia): E domani non venite?
Dottore: Solo un miracolo… ma non ce la può fare. Ad ogni modo, se ci sono novità mi mandate chiamare. (rivolto a tutti) Buona giornata.
Sono le battute finali di Natale in casa Cupiello. Il destino di Luca Cupiello è, ormai, segnato. Davvero non c’è più speranza per l’eterno bambino che, solo nel mondo incantato del presepe, riesce a ritrovare se stesso. Quarant’anni fa, a Napoli, lavorando alla festa nazionale dell’Unità, ebbi la fortuna di assistere alla ripresa della sua opera più celebre, quella con cui Eduardo aveva scelto di ritornare a recitare, dopo alcuni anni di esilio volontario, nella sua città, Mi sono ritornate in mente, quelle due battute, mentre la vita mi spinge sovente a riflettere sulla speranza.
Racconta Esiodo, ne Le opere e i giorni, che Pandora aveva ricevuto un vaso che non avrebbe dovuto aprire. Ma la curiosità spinse la donna a trasgredire – un po’ come Eva ed Adamo con il frutto dell’albero del bene e del male – l’ordine ricevuto, provocando la fuoriuscita di tutti i mali del mondo. Da quell’istante, la terra si riempì di tribolazioni sicché, ci ricorda il poeta greco, “vagolano morbi di giorno sugli uomini, ed altri giungono di notte, all’improvviso.” La frittata era fatta e Pandora riuscì appena in tempo a richiudere, con un coperchio, la giara, imprigionando, però, soltanto Elpis, ossia la Speranza. Che, in tal modo, divenne il rimedio estremo ai mali del mondo. Con il lavoro, l’impegno e l’intelligenza gli uomini possono sperare – è proprio il caso di dire – di vivere alcuni attimi sereni, tra tutti i guai diffusi nel mondo e generati dall’atto inconsulto della sventata Pandora.
Per i cristiani la speranza è una delle tre virtù teologali. Dante ci spiega che essa «è uno attender certo de la gloria futura,/ il qual produce grazia divina e precedente merto.” E’, dunque, un’attesa fiduciosa, secondo quanto scrive Paolo, nella prima lettera ai Corinti, in prospettiva escatologica, di quanto Dio ha preparato per i suoi figli. E tuttavia, suggerisce papa Francesco, essa non va intesa come una sorta di ottimismo superficiale, quanto piuttosto come “un’ardente aspettativa” verso la rivelazione del Figlio di Dio.
Ragionando geometricamente sulle passioni umane, Spinoza lega, strettamente e indissolubilmente, la speranza al timore: “è una letizia (tristezza) incostante, nata dall’idea di una cosa, futura o passata, del cui evento in qualche modo dubitiamo.” Spinoza è così. Definitivo, come solo la matematica sa essere: prendere o lasciare.
Infine un grande filosofo novecentesco, antiaccademico per scelta, (“Sono un filosofo che abita la propria costruzione filosofica”, dirà del suo lavoro), Ernst Bloch, elabora il cosiddetto “principio-speranza”. “Troppi vivono nel deserto e nel grigiore. Oppressi dalla cura esterna, senza avere o potere esperire vitalmente qualcosa. L’amore è sparito o è finito male, l’esserci non ha neppure avuto inizio o è diventato rapidamente un mucchio di cenere da cui non si leva più nessuna scintilla. L’intimo contegno, il filone più lontano per il quale vale la pena vivere è scomparso. La stolta tristezza degli animali, delle creature senza prospettiva si è così diffusa in moltissimi uomini. Mai gravò una quotidianità altrettanto priva di luce”. Eppure, nonostante un quadro così nero, noi avvertiamo una spinta a sperare. Anzi. Dovremo imparare a sperare, respingendo, secondo il filosofo tedesco, “una vita da cane (Hundeleben) che si sente solo passivamente gettata nel mondo, in una situazione incomprensibile, anzi riconosciuta come miserabile.”
Ora il mio problema è che, fin quando, “rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini”, potendo, cioè, nel mio studio, leggere san Paolo, Spinoza o Bloch, mi viene da concludere che le nostre vite potranno davvero risollevarsi e. dunque, risolversi nell’attesa di un cambiamento e di una più luminosa prospettiva. Ma quando, uscendo dalle “antique corti”, si entrerà nella storia del mondo, “dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose”, basteranno solo pochi momenti ed essa – la realtà della storia, appunto – provvederà a “ingaglioffirmi”.
Vi prego di non dispiacervi, quindi, se vi sfilerò il rosario di alcuni passaggi della storia gaglioffa della settimana che termina.
- Tranquillamente accade, in questo nostro paese, che, intorno a una giovane donna morta suicida, si innalzino, con olimpica serenità, osceni cachinni e si diffondano, in maniera, come si dice, virale le curiosità più pruriginose, a mostrare, in maniera chiara e, spero, non definitiva, quanto valga, ormai, per molti, la sacralità del mistero della morte.
- Tranquillamente accade, in questo nostro paese, che un tir venga lanciato su un gruppo di lavoratori, “in lotta per i loro diritti” – un’espressione, quest’ultima che, in Italia, dove, da un biennio, il governo si autodefinisce di centrosinistra, appare essere sempre più una moneta fuori corso -, ne ammazzi uno, padre di cinque figli con il risultato, a farsi un giro sui social, che non siano che quattro gatti a dolersene.
- Tranquillamente si può leggere, su un giornale di questo paese, che “ai dirigenti del fisco vanno gli stipendi più alti, mentre i prof, in quanto a retribuzione, sono tra gli ultimi.” (Repubblica, 18 settembre, p. 21) Dal che si dovrebbe dedurre che se valesse, come si sostiene, il principio del merito, in Italia il fisco funziona alla grande mentre la scuola si trova ormai in articulo mortis. Consentite a chi lavora, dignitosamente, in una scuola pubblica italiana, da trentacinque anni, di nutrire qualche dubbio.
- Tranquillamente si può leggere, sempre sul medesimo foglio (pag. II di Napoli cronaca): La famiglia De Luca fa il pieno di sostenitori per la ministra Boschi. E, più avanti: Piero De Luca (figlio del governatore): “In questa città che rappresenta efficienza, dinamismo ed eccellenza votiamo Sì.” Al di là della libera, legittima scelta di voto, com’è che, in una società dinamica, la meritocrazia tenda a ripetere i medesimi cognomi? Tra parentesi chi scrive – inefficiente, statico e lontanissimo dall’eccellenza – ha scelto di votare No.
- Tranquillamente, infine, si può leggere, in questo paese, (Il Mattino 14 settembre 2016, p. 13) un titolo siffatto, a sei colonne: In forma con la “pizzica” e, nell’occhiello: la danza tipica del Salento diventa una vera e propria terapia brucia-grassi. A Lecce in palestra con il ballerino Kledi Kadiu. Coinvolto tutto il corpo, salti e movimenti sincopati tonificanti per glutei e cosce. E, dunque, noi, che per suonare l’Antidotum Tarantulae, trascritto dal gesuita Atanasius Kircher nella seconda metà del XVII secolo, ci preoccupammo di leggere La terra del rimorso di Ernesto De Martino, riconoscendolo come un testo fondamentale per comprendere la realtà del nostro Sud, non fummo capaci di cogliere il vero valore della pizzica, utile finalmente non solo come colonna sonora di improbabili sagre di pasta e fagioli, ma anche adattissima per rassodare glutei e cosce?
Continuerò a leggere san Paolo e Bloch. E la speranza non mi abbandonerà. E però crescono sempre di più i momenti in cui acquisisce valore, non nel cuore, ma, di sicuro, nella mente, la risposta del dottore del capolavoro di Eduardo: “Solo un miracolo! Ma non ce la può fare. Ad ogni modo, se ci sono novità mi mandate chiamare. Buona giornata.”