di Giancristiano Desiderio
Una giornata tranquilla, poi l’inferno. La rivolta nel carcere minorile di Airola scatta subito dopo pranzo: alle 14. I detenuti, in origine divisi tra loro in due fazioni, hanno distrutto un’intera area dello storico istituto penale. Un atto di forza che è durato più di due ore e per tutto il caldissimo pomeriggio di questo inizio settembre. Per sedare la rivolta è stato necessario un’operazione di decine e decine di agenti – si parla di circa 60 poliziotti e carabinieri – che sono intervenuti: dal nucleo radiomobile di Montesarchio, dalla questura di Benevento, dalle forze della casa circondariale del capoluogo e dall’istituto penitenziario di Nisida. Nel cuore del pomeriggio, mentre il paese sonnecchiava, nel carcere è andata in scena una vera e propria battaglia tra i detenuti da una parte e i poliziotti dall’altra. Gli agenti, tenuti in scacco per alcune ore, sono stati minacciati e hanno dovuto difendere anche la loro stessa incolumità. Alla fine del drammatico scontro la scena del campo di battaglia era lo sfascio totale di un piano dell’istituto, mentre per due agenti è stato necessario il ricovero in ospedale: l’assistente capo Arturo Nuzzo è stato ferito ad un piede e l’altro assistente Biagio Tancredi è stato colpito alla testa.
La mancanza di sigarette è stata subito citata quale causa scatenante della violenza. Non si esclude che sia la scintilla da cui è divampato il fuoco. Ma sarebbe solo un pretesto. In quel carcere è da tempo che cova il malessere. All’origine della sommossa c’è un leader condannato a quattordici anni di reclusione con il 416 bis, affiliato alla camorra, e trasferito da poco in valle caudina. Con lui sono presenti nell’istituto di pena per minori altri camorristi condannati con il 416 bis. Soltanto tre mesi fa nello stesso carcere ci fu una lite tra detenuti e il direttore Antonio Di Lauro smentì l’aggressione agli agenti. Ora è impossibile smentire. Ieri, con l’assenza del comandante della polizia penitenziaria, c’è stata una vera e propria rivolta così decisa e violenta che fa pensare ad una organizzazione studiata a tavolino per rivendicare un proprio esclusivo dominio. I detenuti – nel carcere sono in trentanove, dunque non molti – hanno addirittura scavato un buco nel muro per passare da una parte all’altra del piano e, facendo leva con i bastoni che hanno ricavato dalla distruzione dei tavoli e dei letti, hanno completamente divelto un blindo – una porta blindata – diventando padroni di un’ala dell’antico edificio di corso Montella. Hanno frantumato i vetri blindati e ne hanno ricavate altre pericolose armi.
Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria, ritiene che sia “una lotta tra bande e detenuti maggiorenni legati ai clan”. I promotori della rivolta, coloro che l’hanno pensato e poi organizzata e attuata, sono stati individuati. Sono tre e ora sono in isolamento, in attesa di trasferimento. Alla fine del giorno si contano danni (per migliaia di euro) e feriti e ci si consola che non ci siano morti. Il sottosegretario alla Difesa, Gioacchino Alfano, loda gli agenti per il pronto intervento e auspica che si “apra una riflessione”. Resta il fatto inquietante: una rivolta e una battaglia armata in un istituto di pena per minori.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 6 settembre 2016