di Amerigo Ciervo
C’è un’antica parola greca, hybris, che spiega tutto. Spesso basta un solo atto – uno solo – di tracotanza, di hybris, appunto, verso gli dei, a perderti. L’onesta squadra italiana ha affrontato la temibile squadra tedesca, campione del mondo in carica, con l’unica arma che si poteva, di questi tempi, mettere in campo. Di certo, non con la tecnica. Non ci sarebbe stata partita. Ma con la tattica sopraffina, di cui siamo riconosciuti maestri nel calcio, e con il sacrificio disperato di tutti gli onesti italianuzzi – avrebbe scritto Brera –, schierati dal non simpaticissimo Conte. A un certo punto pareva fatta. Li avevamo costretti ai rigori e avevano fallito il loro, i due tedeschi più talentuosi.
Gli dei del pallone ci avevano sorriso, una volta ancora. Ma non avevamo fatto i conti con la tracotanza. Passi per quella ridicola rincorsa di Zaza. Una volta lo indovini pure, il tiro decisivo, magari con una provvidenziale deviazione iberica. Ma è stato quel gesto di Pellé – con due elle, per favore – a rovinare tutto. Il cucchiaio, se non si è Totti o Pirlo, è meglio non farlo. Oppure si fa, ma non si dice. E’ stato quel gesto un po’ penoso, da bullo di periferia, tentato per impaurire uno dei grandi del calcio mondiale, a provocare la nemesi, la vendetta degli dei del pallone. E, per la povera Italietta pallonara, la partita con la “tedesca rabbia”, per la prima volta nella storia, si chiuse con le lacrime. Che la cosa ci possa servire di lezione. Anche al di fuori del campo di gioco.