di Giancristiano Desiderio
(Quasi quattro anni fa pubblicavo questo Elogio di Marco Pannella che ora, nell’ora della sua morte, mi sembra giusto riproporre per salutarlo. Ciao Marco). Per capire il valore di Marco Pannella si può fare una elementare osservazione: a nessuno verrebbe in mente di dire che va “rottamato”. Il Pd ha tra i suoi candidati anche quelli “in deroga”: ossia i dinosauri della Prima e Seconda repubblica. Pannella esisteva già prima del tempo dei dinosauri ma i suoi 83 anni sono uno schiaffo all’anagrafe politica. Il leader radicale – il Grande Radicale, come è stato ben scritto – è al di là del tempo della politica, praticamente non invecchia. La differenza tra lui e gli altri non è nel tempo, ma nella qualità. Gli altri per esistere devono avere una legge elettorale così e così, devono stare a Montecitorio, devono menare il torrone in un partito. Pannella no. Pannella esiste senza legge elettorale, senza Parlamento, senza torrone. Perché ha ciò che gli altri non hanno: politica, problemi, giustizia, stato. In una sola parola: libertà.
Lo sciopero della fame e della sete per, a una settimana dal Natale, porre all’attenzione degli italiani e del Parlamento il problema nazionale del sovraffollamento delle carceri – con tutto ciò che questo significa sul piano dei diritti, della dignità, della legalità e dell’amministrazione sconcia della giustizia – è una scelta “radicale”. Pannella è estremo. Non perché sia esagerato o non conosca le mezze misure. È estremo perché pensa fino in fondo la politica civile che ha per sua spina dorsale l’esistenza dello Stato e dei diritti. Se lo Stato – ossia i governi e i parlamenti che si succedono negli anni – non è in grado di garantire i diritti basilari della vita civile, fuori e dentro le carceri, vuol dire che è uno Stato pericoloso per gli altri e per se stesso perché non è capace di giustificare la sua esistenza al di là della necessità di sfuggire all’arbitrio dell’anarchia in cui gli uomini sono tutti lupi. Il Grande Radicale, dunque, non è un estremista ma un uomo di Stato che con il suo stesso corpo senza pane e senza acqua ricorda a noi poveri italiani mortali che avremmo bisogno di uno straccio di Stato più serio e utile. E in questa dimostrazione di forza fatta con l’autorevolezza della lotta non-violenta Pannella sottolinea ancora una volta che la qualità della vita civile di un Paese e di uno Stato dipende prima di tutto dalla vita dentro le carceri. Si può essere d’accordo o meno sull’amnistia. Ma non si può fare a meno di concordare sul giudizio radicale sui penosi istituti di pena di casa nostra. Ma ancor più del giudizio è importante il tempo. Il problema carcerario ha dietro di sé, ormai, una storia: non è nuovo, non è nato ieri o ieri l’altro. Eppure, in ogni occasione sembra che se ne parli e discuta come la prima volta. Anche questo particolare – chiamiamola così – fa la differenza tra Marco Pannella e gli altri. Mentre gli altri sono affaccendati nella dura lotta delle candidature personali, Pannella «ha sete di giustizia e di legalità» e vuole presentare alle elezioni una lista di candidati noti ed eccellenti. Gli altri vogliono uno scranno, Pannella non ci pensa proprio. Gli altri presentano un programma, Pannella non ha bisogno di alcun programma. Ma quale dovrebbe essere il programma politico di un uomo di Stato e Libertà che all’età di 83 anni è capace di non mangiare e non bere per mostrare agli italiani la condizione indegna delle carceri?
Ho conosciuto Pannella nella sede dei radicali a Torre Argentina. Andai per intervistarlo. Ero sprovvisto, come mio solito, di registratore. Ricordo tutto a mente e prendo appunti alla meno peggio. Ma come si fa con Pannella? Parla a rotta di collo e lo pregai di andar più piano. Mi disse: «Senti, facciamo così, andiamo di là, ci sistemiamo meglio così scriverai meglio». Questo omone, così somigliante a Cesare Musatti, ebbe pietà di me. Prese due sedie, un tavolino e cominciò con santa pazienza a riepilogare il suo pensiero. In fondo, Marco Pannella è sempre lo stesso: una sorta di memoria profonda della vita civile italiana, di quella esistente, anche grazie a lui, e di quella inesistente per la quale continua a lottare. Perché non saprebbe fare diversamente, e non vorrebbe. La febbre dei diritti civili lo divora. Il suo coraggio ignora i limiti e le possibilità del suo corpo. La sua politica per non passare sotto silenzio si è dovuta fare biopolitica, mettendo insieme vita e morte in quel tempio dello spirito che è il fragile corpo umano. In libertà e in galera.
(tratto da Liberalquotidiano e pubblicato su sanniopress.it il 19 dicembre 2012)