di Giancristiano Desiderio
Ho dedicato al mio paese pagine e pagine di quotidiani locali e nazionali, articoli, saggi, libri e perfino una attiva biblioteca come la Biblioteca Melenzio. Ho invitato e accolto a Sant’Agata dei Goti giornalisti, filosofi, scrittori, sportivi, da Antonio Pennacchi a Gianni Rivera, per fare solo due nomi. Insomma, ho dedicato al mio paese amore e studio e alla fine sono stato trattato come un delinquente. Ne valeva la pena? Non ne faccio un dramma: so che il sentimento più diffuso è il risentimento. Esiste, però, una questione grande come il Taburno e non la vede solo chi non vuole: è il silenzio assordante di professionisti, insegnanti, uomini e donne della politica che sorrette dal coraggio di don Abbondio vengono meno al dovere di garantire i diritti di persone e associazioni. Se in una comunità, piccola o grande che sia, la classe politica calpesta le libertà civili fondamentali, il risultato è la paura e la paura genera tragedie. In un tempo diverso e mentre era stato ucciso un filosofo, Montale diceva che considerati singolarmente tutti erano persone ineccepibili, ma messi insieme erano una banda di codardi che pensava solo al tornaconto. Antoine Roquentin, circondato com’era da feroci persone dabbene, avvertiva la nausea salirgli dallo stomaco e oggi la nausea di Roquentin è la mia.
Mentre lavoravo all’ultimo libro – Lo scandalo Croce – mi andavo persuadendo sempre più nettamente che la storia dell’Italia repubblicana può essere scritta come il rapporto tra il pensiero e la tendenza totalitaria del potere dei partiti di massa. Ciò che non potevo immaginare è che di lì a poco io stesso, e mio malgrado, sarei diventato protagonista di una stilla di quella storia. E dire che le avvisaglie c’erano state. Il caso della Biblioteca Melenzio, che ha travalicato i confini del natio borgo selvaggio (ma sono nato a Pompei, deo gratias), è tutto compreso in un sopruso malcelato: il potere che vuole distruggere o impadronirsi di un’istituzione liberale di studi e ricerche concepita e creata da un sodalizio di cittadini. Il valore della Biblioteca Melenzio è tutto qua: non è stata creata da un ente – comunale o statale che sia – ma da un pugno di uomini che l’ha ideata e realizzata proprio per garantire un servizio che l’ente amministrativo non garantiva. Non pretendo che la politica locale apprezzi la cultura liberale o la sussidiarietà cattolica – inserita in Costituzione, peraltro, dal centrosinistra – ma sarebbe anche più gratificante se gli uomini e le donne che amministrano e si propongono come riferimenti rispettassero un’opera costruita col tempo e con sacrifici e la difendessero dalla tracotanza e dall’infantilismo. In fondo, si tratta di un elementare principio di civiltà: non si distruggono le opere umane.
La nausea mi vieta di continuare a dedicare sforzi e risorse al mio paese. Non lavoro per la servitù volontaria. Il tempo che il buon Dio mi vorrà ancora concedere dovrà essere lavorato con più rispetto persino per la mia povera persona. Ma non ci s’illuda: la Biblioteca Melenzio c’è e ci sarà e la sua libertà dal tragicomico socialismo municipale in cui chi amministra crede di comandare su tutto e tutti come fossero pecore è un bene da difendere. In tanti mi hanno partecipato l’intenzione di trovare altri locali e c’è stato chi – Alessandro Tanzillo di Solopaca – ha perfino proposto di darmi la cittadinanza onoraria. Troppa grazia, san Gennaro. Non merito tanto. Ma ringrazio tutti, anche se ora qui ringraziare tutti non è possibile perché dovrei davvero ringraziare nominalmente migliaia di persone che hanno sottoscritto la petizione, che hanno scritto articoli e appelli e chiesto spiegazioni, che hanno testimoniato e organizzato manifestazioni, che hanno inviato saluti e messaggi, che si sono sentiti partecipi di una storia in cui il valore della libertà della cultura e dell’opera umana andava semplicemente e fermamente difesa senza i se e i ma. Ringrazio i santagatesi che sono stati all’altezza del compito. Le firme – lo dico a tutti – non sono state vane perché stiamo difendendo il nostro diritto ad esistere, esprimerci e governarci. E’ un lenimento del dolore: la Biblioteca Melenzio ha legato il suo nome alla difesa del governo di sé ed è questo, in realtà, il motivo della sua fondazione e della sua esistenza. La storia della Biblioteca Melenzio è già una storia utile e significativa – conosciuta a Benevento, a Milano e a Napoli, Roma e Reggio Calabria – e sarà ancor più utile e significativa quando sarà documentata e raccontata per essere conosciuta e indicata come esempio, nonostante la mia nausea.