di Giancristiano Desiderio
Quando, alla metà degli anni cinquanta, Carl Schmitt scriveva Il nuovo nomos della terra, la Terra era divisa in due come una mela: a Occidente c’era (e c’è) il mondo della libertà ed a Oriente c’era (e non c’è più, almeno in parte) il totalitarismo comunista. E l’Europa? Era la Grande Assente perché priva, ieri come oggi, di una vera unità politica. Se c’è un motivo valido per rileggere ancora Carl Schmitt, ebbene, questo è più che utile, necessario: l’esigenza di avere un nuovo nomos della cara vecchia terra europea o un nuovo jus pubblicum europaeum per non ridurre il governo terreno ad un “unico signore del mondo” che per Schmitt lungi dall’essere il migliore dei mondi possibili sarebbe il peggiore di tutti i mali.
Un’occasione per rileggere l’opera di Carl Schmitt è data dalla Adelphi che ha appena pubblicato il libro Stato, Grande Spazio, Nomos che è qualcosa di più di un’antologia: piuttosto, è una sorta di summa teologico-politica di un autore che è definito tecnicamente giurista ma che rappresenta, pur con tutta la sua storia dannata – sostenne il Terzo Reich, fu antisemita e ideologicamente antiamericano -, uno dei vertici del pensiero politico del Novecento. E il punto è proprio questo: l’opera di Schmitt – il cui cuore è il concetto di conflitto che non può essere (falsamente) negato senza negare anche libertà e umanità – non riguarda solo il passato e ha ancora più di qualcosa da dirci fino ad essere, come giustamente nota Giovanni Gurisatti che cura il testo, una “guida preziosa” per la lettura e l’interpretazione del presente. Secondo l’autore de Il concetto del politico – lo scritto del 1927 che apre il libro – non può esserci ordinamento mondiale (Ordnung) senza localizzazione (Ortung) ossia senza una pluralità di Grandi Spazi che al tempo di Schmitt erano sistemati ed omologati nella Guerra Fredda e nel nostro tempo, lontani dall’essere ricondotti ad un unico signore del mondo, come forse pensava Schmitt che morì nel 1985, sono frammentati e atomizzati in un grande caos in cui sembra dominare la “tecnica scatenata”.
L’intellettuale tedesco distingue tre fasi o epoche del nomos della terra. La prima fase che potremmo anche chiamare, non senza ironia, quella del “piccolo mondo antico” ha un nomos tutto caratterizzato dal suo elemento terreno e giunge fino al Cinquecento quando, con la scoperta del Nuovo Mondo, e la nascita delle potenze marittime – prima tra tutte quella dell’Inghilterra – il nomos cambia pelle: il centro del mondo non è più il Mediterraneo e il nomos diventa eurocentrico basandosi su un equilibrio tra terra e mare. La seconda fase durerà fino alla Grande guerra che non a caso sconvolgerà il mondo, ma ciò che segnerà la genesi della terza fase è il terzo elemento che va ad aggiungersi alla terra e all’acqua del mare: l’aria che apre lo spazio aereo. Attraverso l’aria, in cui viaggiano non solo gli aerei civili e militari ma anche informazioni, conoscenza e tecnologia – la Rete – si può dominare il mondo terreno o si può nutrire l’illusione di dominarlo.
Può darsi che la lettura schmittiana sia più suggestiva che realistica, tuttavia conserva una sua attualità se si integra con quello che Gurisatti chiama l’ “elemento di continuità” del pensiero di Carl Schmitt ossia “il suo affetto per la terra d’Europa” che rispetto all’Anticristo dovrebbe essere una “forza frenante” (katechon). Così nel suo ultimo scritto del 1978, La rivoluzione legale mondiale, Schmitt rileva con angoscia come alla incipiente globalizzazione in cui il mondo diventa uno non si faccia avanti un autentico spirito europeo e arriva a scrivere che, in fondo, ci vorrebbe una “rivoluzione europea” giacché “le forze politiche e le potenze mondiali che lottano per l’unità politica del mondo si dimostrano più forti dell’interesse europeo per l’unità politica dell’Europa. Anche qualche ‘buon europeo’ si aspetta l’unità politica dell’Europa ancora soltanto come sottoprodotto (per non dire di scarto) di un’unità politica globale del nostro pianeta”. Non è, forse, il problema eminentemente politico che abbiamo sotto i nostri occhi?
Schmitt credeva che solo “l’equilibrio di una pluralità di grandi spazi” potesse salvare libertà e umanità e ne indicava sette: Cina, India, Europa, Commonwealth britannico, mondo ispano-lusitano, blocco arabo. Nel frattempo, qualcosa è cambiato nel mondo ma il grande spazio europeo da cui, lo si voglia o no, dipende la nostra condizione di uomini liberi, è tuttora assente e non sembra consapevole della necessità di darsi un’unità politica occidentale per stare al mondo senza che il mondo lo domini e lo divori.