di Gaetano Cantone
Ritengo forse dysneiano, tale da far alzare il tasso glicemico, se s’optasse per un’interpretazione “virtuosa” della necessità di lanciare strali ogni qualvolta un amministratore, con professionale e devota superficialità, affronti il tema dirimente della cultura e delle sue necessarie e funzionali attrezzature in un paese com’è il nostro, democratico ma non meritocratico.
Sapere, conoscere, interrogare gli scibili, scovarli – a volte – dalle ristrettezze che l’oblio impone loro, serve a ciascun individuo per emanciparsi dalle secche in cui potrebbe incagliarsi ogni navicella pronta ad intraprendere il periglioso tragitto che intercorre tra l’esser servulus e diventare un uomo libero. Con tutti i ‘se’ e tutti i ‘ma’ del caso.
Cianciugliare, invece, attorno ad un tema, senza competenze e leali valutazioni, in questo paese democratico ma non meritocratico, può perfino far vincere il concorso per una cattedra universitaria.
È già capitato lo scandaloso trasloco imposto dai fatti alla Biblioteca dell’Istituto Italiano per gli studi filosofici, di cui tempo addietro frequentando i locali di viale Calascione s’incontravano uomini, parole e pagine di assoluto valore. Mi auguro che qualsiasi ostacolo – legittimo o meno – venga rimosso nel caso della Biblioteca Melenzio, ma come far breccia nella possente roccia dell’indifferenza, visto che di cultura non si campa (come affermava il vispo e giovenile Tremonti ministro della Repubblica) e non si conquistano voti?
Procomberemo solitari dinanzi all’arrogante ma equanime assenza di politiche culturali? Si dispensa dai fiori.