di Billy Nuzzolillo
A chi volesse approfondire le questioni legate alle estrazioni petrolifere, di cui tanto si discute in queste ore, consiglio la lettura del libro di Pietro Dommarco, “Trivelle d’Italia” (Atraeconomia Edizioni, 2012, € 12), presentato qualche anno fa a Benevento dall’associazione Sanniopress nell’ambito della rassegna “Cantieri di Legalità”. E’ una straordinaria inchiesta effettuata da un giornalista coraggioso, uno di quelli che pratica il mestiere con passione e al di fuori dei condizionamenti del circuito mainstream.
Il libro di Pietro Dommarco conduce nel “buco” petrolifero del nostro Paese, con numeri e fatti. Spiega che in Italia le società cedono solo il 4% dei ricavati per le estrazioni in mare e il 10% per quelle sulla terraferma ( i dati si riferiscono al momento della pubblicazione del libro). Per questo i petrolieri sanno che trivellare in Italia è facile e conveniente e parlano di “regimi fiscali convenienti, spese d’ingresso irrisorie, commercializzazione rapida”. Ricorda che dal 1895 al 2010 sono state 180 le società operanti e 7.110 i pozzi perforati. Spiega, inoltre, che la Basilicata è la regione più sfruttata, seguita dalla Sicilia. Racconta i numeri e le storie dei tanti “Texas italiani”, dalla Val d’Agri in Basilicata a Sannazzaro de’ Burgondi in Pianura Padana, da Gela e Priolo in Sicilia a Porto Torres in Sardegna e Porto Marghera in Veneto. Un’economia “sporca” che ha portato pochi vantaggi al territorio – scarse le royalties che vanno agli enti locali – occupazione limitata e infiniti lutti, per i lavoratori e per l’ambiente. Come ricorda Dommarco, nei pressi di molte aree industriali e raffinerie si vive male, tra la paura di incidenti, inquinamento ambientale e un preoccupante aumento di patologie tumorali (nella zona di Priolo, in Sicilia, il 35% dei decessi avviene per tumore, principalmente quello ai polmoni).
Un quadro allarmante, purtroppo, confermato dal terremoto giudiziario che ha portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo, Federica Guidi. Al di là delle sterili e spesso patetiche polemiche politiche di queste ore, a preoccupare è il quadro generale che emerge dall’inchiesta: secondo i resoconti, infatti, si scopre che milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi provenienti dall’estrazione del petrolio sono finiti nell’ambiente a causa del malfunzionamento strutturale degli impianti del “Cova” di Viggiano. E il tutto è avvenuto malgrado i vertici locali dell’Eni sapessero. Gli stessi vertici che sapevano anche che al pozzo Molina 2 le acque reflue venivano iniettate di nuovo nei pozzi per risparmiare.
Tra l’altro, come ricorda Dommarco nel suo libro, l’Italia è tra i pochi paesi occidentali che non obbliga le compagnie petrolifere a rendere noto l’elenco degli additivi utilizzati per le trivellazioni. E così può capitare, come avvenne alla fine degli anni ’80 a Cerreto Sannita, che lungo il suo percorso la trivella (e gli additivi) incontri (e oltrepassi) una sorta di laghetto sotterraneo in un’area ricca di sorgenti d’acqua che affluiscono poi nell’acquedotto comunale e che la Regione Campania escluda dalla possibilità di attingere a finanziamenti per la creazione di aree di pascolo proprio le aree del Sannio dove in passato furono scavati i pozzi (indicandole, tra l’altro, solo con le coordinate geografiche) perché ritenute inquinate.
Alla luce di tutto ciò diventa quindi importante il referendum che si terrà il prossimo 17 aprile, ben al di là dello specifico quesito su cui saremmo chiamati ad esprimerci. Purtroppo, le altre richieste referendarie avanzate dalle Regioni sono state bocciate dalla Corte di Costituzionale per un difetto procedurale. Confesso, quindi, che posto seccamente di fronte al quesito sarei naturalmente tentato a votare NO, anche perché la maggior parte dei pozzi in mare italiani estraggono gas, ed hanno quindi una ridotta potenzialità di inquinamento, e soprattutto perché ormai ci sono e logica vorrebbe che andassero sfruttati fino all’esaurimento.
Nonostante ciò, mi recherò alle urne per votare SI (ho anche sottoscritto un appello in tal senso) perché sono convinto che occorra un segnale forte nei confronti delle lobby petrolifere e soprattutto del governo, che dovrà tenerne conto quando sarà chiamato a varare i futuri piani energetici. Il quadro che emerge dall’inchiesta giudiziaria che ha portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, conferma, sebbene non ce ne fosse bisogno, l’intreccio di interessi che caratterizzano le politiche energetiche in Italia. Un paese, quest’ultimo, che ricordiamolo ha saputo trasformare persino gli incentivi per le energie rinnovabili, di per sé positivi, in un’utile occasione per la devastazione di vaste aree della penisola (vedi gli effetti dell’eolico nel Sannio) da parte di un sistema politico-affaristico nel quale, come risulta da varie inchieste giudiziarie, sì è spesso infilata anche la criminalità organizzata.
Purtroppo, abbiamo pochi mezzi per opporci all’assalto delle lobby energetiche e il referendum del 17 aprile può essere un’utile occasione per lanciare un messaggio forte e chiaro, che va ben oltre la sua stessa valenza. Ma non basterà se, sin da adesso, non impareremo anche a ridurre lo spreco energetico e a mettere in atto comportamenti virtuosi, che siano effettivamente coerenti con la volontà di salvaguardare l’ambiente.
nell’articolo in parte condivisibile ci sono alcune inesattezze sul laghetto sotterraneo della Parata di Cerreto, geologicamente parlando. e poi sulle acque ed i sedimenti del laghetto superficiale della Parata sono in corso le analisi da parte dei Notrivsannio, ovviamente analisi “pirata” in corso presso laboratori di nostra conoscenza ma di accertata validità scientifica. a presto per la divulgazione pubblica. ciao