di Antonio Medici
Giuseppe Iannotti, patron del Kresios di Telese Terme, è l’unico chef del Sannio insignito della prestigiosissima stella Michelin. Prestigiosa perché affidabile. La stella certifica, a differenza di qualsiasi altro riconoscimento, l’esistenza di un alto standard tecnico di cucina e di sala, in una valutazione che tiene conto di numerosi elementi e che comunica, a chi si affida a quella guida, una precisa indicazione in ordine al tipo di cucina e di accoglienza. Ottenere e mantenere una stella Michelin non è mai frutto del caso ma può essere considerato l’esito possibile di un percorso di investimento non modesto in studio, sperimentazione, personale, cantina, sala.
Alla stella, dunque, si arriva dopo un cammino in cui si impegna se stessi ed ingenti capitali; Iannotti col suo Kresios ci è arrivato nel 2014.
Per queste sue caratteristiche ben codificate il ristorante stellato attrae clientela e può divenire un punto di riferimento per i produttori locali ed un elemento di attrazione. Non così a Benevento, “il problema di fondo – afferma Iannotti – è che il territorio ignora le potenzialità di un luogo come Kresios, promuovere il Kresios significa fare interesse del territorio, invece si sponsorizza la pizza e si ignora l’eccellenza del posto”.
Ha iniziato nel 2008 rilevando un ristorante a Castelvenere, poi l’enoteca a Telese con la rivendita anche di prodotti d’eccellenza. Difficile puntare sul territorio anche per i prodotti, senza peli sulla lingua lo chef telesino dice verità scomode ma incontrovertibili: “Sono sul punto di togliere di mezzo i prodotti del territorio: che cosa produce il Sannio? Quale prodotto di livello qualitativo medio alto è in grado di offrire stabilmente o almeno stagionalmente? Parlare con i produttori è difficilissimo, non sono pronti a capire che si può crescere insieme.”
Viaggia moltissimo per consulenze ed attività in altre parti d’Italia e del mondo, ma viaggia con rammarico: “Io non sono felice di andare a Milano, io sono costretto ad andare a Milano; qui è casa mia ma non succede quello che succede altrove, da Roma in su, dove le attività trainanti sono riconosciute tali perché fanno crescere il territorio. Qui, invece, solo compromessi che non portano a nulla . E poi qui abbiamo la mafia gastronomica…”
Partono oggi alcune manifestazioni gastronomiche che ancora una volta ignorano la stella di Telese, riprendere, dunque, questa discussione del luglio scorso con Giuseppe Iannotti, pare quanto mai attuale.
Qui si seguito l’articolo già pubblicato l’estate scorsa.
Nella valle tra Caserta e Benevento, stretta tra il monte Taburno e le estreme propaggini del Matese, Giuseppe Iannotti, classe 1982, capitana una isolata scialuppa di grande ristorazione. I flussi turistici languono, i redditi anche, i business man, come nella canzone di Fossati, puoi incontrarli negli aerei che tracciano rotte tra Napoli e il mondo, solcando il cielo azzurro giusto sopra il Kresios; resistere qui con una proposta di alto profilo è un’impresa e non a caso Iannotti si definisce imprenditore oltre che chef, fa i salti mortali per far quadrare i conti mantenendo un livello di qualità elevatissimo. Del resto conservare la stella Michelin è più difficile che conquistarla.
Nemo profeta in patria è un adagio che ben si adatta alle comunità più piccole ed in effetti il Sannio sembra ignorare il suo unico chef stellato. Orgoglioso e giustamente presuntuoso il patron del Kresios non si sente tradito ma lamenta l’incomprensione delle potenzialità della sua offerta. Non si cruccia, ad ogni modo, più di tanto e continua il suo percorso ambizioso, che da qualche mese arriva sino a Milano, dove ha assunto con Christian Milone la gestione del ristorante del Boscolo Hotel al Duomo.
Affacciata su una vigna che sembra stendersi sino alle pendici dei monti, in uno scenario davvero incantato, in un antico casolare in pietra, la sala è elegante e in qualche misura sovversiva. La ritualità formale, necessaria ad un ristorante stellato, è alleggerita e resa familiare dall’ardita apparecchiatura senza tovaglia.
Con coerenza il servizio persegue l’obiettivo, sicché l’ospite viene sollecitato ad afferrare con le mani alcune delle prelibatezze servite per antipasto come la apprezzabile chips di baccalà con polvere di asparago o l’originale caciocavallo silano affumicato alla griglia con confettura di mandarini cinesi e mela annurca o anche il “raffaello” di foie gras con cuore di nocciola.
Punta alla completezza dell’esperienza sensoriale lo chef giocando con le consistenze – che richiedono grande tecnica – e la giustapposizione di sapori e sensazioni tattili. Così il fine croccante della julienne di zucchine, appena pungenti per un quid di aceto balsamico, trova contraltare e compiutezza nella mollezza ed aromaticità del caviale di tartufo che le decora, condisce e completa.
La sublimazione di questa abilità di Iannotti arriva con “a tutto sgombro” un piatto che disorienta e stupisce, finendo con lasciare una traccia indelebile nell’esperienza del desinare al Kresios: chi mai ha osato servire la lisca del pesce? E chi mai ha osato deliberatamente mangiarla per poi aggredire anche la testa in cui son ben visibili, nella bocca trafitta dall’amo prima e dal calore della frittura poi, i denti del povero pesce azzurro? Filetto di sgombro marinato in aceto di mele servito con lisca e testa del pesce fritta a due temperature. Occorre lasciar il piatto sgombro, si mangia tutto e con piacere raro. Morbidezza, freschezza, grassezza, fragranza, sapidità.
Eccellenti la zuppa di porcini con patate, castagne, caciocavallo Silano e fiori di lavanda che recano una freschezza rara ad un piatto sostenibilissimo anche nel pieno di un’estate torrida e il giro dell’oca: petto, cuore fritto in pangrattato giapponese, foie gras.
La tendenza di Iannotti all’uso di essenze liofilizzate, disidratate o polverizzate, convincente in tutte le portate, ci ha deluso nella sua apoteosi del dessert: una quenelle di gelato al caffè arricchita da spuma al cardamomo e salsa di zafferano servita con zucca disidratata su una “terra di malto”.
Piacere di arrivarci: *** strade statali disordinate, caos urbanistico, belle vigne, belle montagne
Piacere di essere accolti: ***** eccellente personale di sala, casolare deliziosamente ristrutturato, vetrata sulla vigna imperdibile.
Piacere del desinare: **** strepitosa attenzione all’aspetto tattile di ogni pietanza, ricco ma sapiente uso di erbe aromatiche, nessun cedimento alla forma senza sostanza. Estesa carta dei vini con chicche di straordinario pregio anche a prezzi non proibitivi.
Piacere dopo pasto: **** Prezzi sotto la media per ristoranti di questo livello. Possibilità di soggiornare in una delle quattro eleganti camere.
caro Giuseppe Iannotti, ti capisco perfettamente. Le nostre zone riescono a pensare in termini di valorizzazione solo se si trovano di fronte all’interesse dei media o di fronte alla facile realizzazione di ‘sagre’. In questa corsa al facile consenso si trascurano le cose vere ed importanti del territorio e non si approntano politiche di medio e lungo termine per cercare una vera valorizzazione. Lo stesso capita a me per Cerreto e la mia volontà di sostenere una struttura urbana unica (per lo meno in Europa). Si cercano tutti i modi per incrementare il turismo becero puntando solo sulla ceramica, sulle ‘caciotte’ e su false affermazioni storiche. Inoltre questo avviene trascurando del tutto le reali potenzialità di Cerreto che sono, certamente difficili da far capire, ma che sono certe. In questo ambiente culturale è difficile vivere, ma spero che tu riesca a superare queste avversità e ad imporre il tuo punto di vista. Auguri.