di Gennaro Malgieri
Non sorprende che in meno di un decennio il Pd beneventano abbia prodotto un deserto culturale laddove le amministrazioni della destra avevano fatto fiorire iniziative che esaltavano la vocazione intellettuale del capoluogo sannita in continuità, va detto, con l’ultimo scampolo di gestione centrista della città.
Non sorprende perché il personale politico proveniente dall’area cattolica e post-comunista (con poche lodevoli eccezioni, tra le quali ricordo Carmine Nardone, Antonio Conte, Mario Pepe, uomini di rara sensibilità culturale) non è stato all’altezza di una sfida cruciale: coltivare, cioè, l’ambizione che avrebbe potuto dare a Benevento una centralità tale da farla diventare riferimento culturale per tutta la Campania.
Invece niente, ai fallimenti ordinari si è aggiunto il fallimento culturale che è forse ben più grave degli altri che pure sono evidentissimi e dunque tangibili. Se è vero che prima con l’amministrazione Pietrantonio cominciò a delinearsi il profilo di una città in grado di ospitare eventi culturali di risonanza nazionale e poi con le gestioni pirotecniche di Viespoli seguito da D’Alessandro andò precisandosi un’idea di Benevento culturalmente dinamica, sorretta non sull’occasionalismo, ma sulle solide fondamenta della coniugazione della sua tradizione e delle sue specificità (patrimonio archeologico, musei, chiese) con l’innovazione delle forme artistiche più all’avanguardia e la ristrutturazione urbanistica coerente con la vocazione di città il cui centro storico è un vero gioiello – accerchiato dalle brutture degli anni del “grande sacco” edilizio pubblico e privato – è incontestabile che nell’ultimo decennio è stato vanificato tutto il lavorio cui si erano dedicati sindaci, assessori ed intellettuali coinvolti nella rinascita di Benevento.
Il lamento di Giancristiano Desiderio, pubblicato il 12 marzo su Sanniopress, è dunque più che giustificato. La mancanza di una visione della città e, dunque, del suo avvenire, ha costretto i responsabili sulla difensiva, trincerandosi dietro le solite giustificazioni economiche e finanziarie che avrebbero impedito lo sviluppo ulteriore di una eredità che faceva ben sperare. Poco convincente il tutto. Certo, la borsa si è ristretta, ma “inventare” una comunità intellettuale capace di parlare alla città, a prescindere dalle appartenenze politico-ideologiche, francamente non ci sembra un’opera titanica. Piuttosto che “includere” si è “escluso”, dunque si è diviso. Non so di chi sia nello specifico la “colpa”, ma tener fuori dalla discussione sullo sviluppo culturale e civile della città scrittori, giornalisti, artisti e giovani volenterosi e creativi non credo sia stata una buona idea, mentre chiudevano i battenti i non molti siti dove era immaginabile “fare cultura”, sperimentare disegni espressivi, costituire gruppi di lavoro che avrebbero potuto offrire idee ad amministratori ed imprenditori interessati all’emersione della città dall’anonimato.
Benevento, dunque, è immobile, chiusa nel suo abbandono, dimentica di essere stata nei secoli, a suo modo, una città di riferimento politico ed artistico. Come del resto i piccoli comuni della provincia: stanno letteralmente morendo. La legge che avrebbe dovuto salvaguardarli, approvata se non ricordo male all’unanimità, è finita nel dimenticatoio. E con i piccoli comuni se ne stanno andando culture, tradizioni, usi, costumi, linguaggi. Oltretutto nessuno ricorda più (tranne qualche appassionato cultura di storia locale) grandi figure del passato che hanno scritto in qualche modo la storia del Sannio nei più disparati domini.
Giro in lungo e in largo i paesini sanniti sperando di trovarvi segnali di vita: raramente m’imbatto in qualcosa che faccia ben sperare. Al di là di qualche sagra estiva o di poche e sporadiche sensibili occasioni di ammirazione (non faccio esempi per non alimentare polemiche da parte di chi non cito) il deserto cresce anche al di fuori della cinta muraria di Benevento.
Le responsabilità sono di tutti. Nessuno si chiami fuori. Neppure la comunità intellettuale che si sente trascurata dalla politica: non mi pare che abbiamo assistito a significative levate di scudi nel recente passato. Ognuno dunque sia consapevole che quando una parte del territorio muore culturalmente, la vita associata è inevitabilmente destinata al degrado. Piccolo promemoria per i prossimi sindaci ed amministratori. Senza rancore, ma con tanta malinconia.