di Gennaro Malgieri
Ho seguito con interesse la discussione, sviluppatasi anche su Sanniopress, scaturita dalla decisione del sindaco, dell’amministrazione comunale e della commissione toponomastica di Cerreto Sannita di intitolare alcune strade a personaggi della storia locale in sostituzione di sovrani e principi di Casa Savoia. L’operazione, frettolosamente etichettata come “negazionista”, mi è sembrata civile e culturalmente coraggiosa. Dare il benservito, dopo un secolo e mezzo di risorgimentalismo acritico, agli “unificatori”, nonché “conquistatori” del Regno del Sud, non può essere visto come unilaterale “condanna” di una storia complessa o – il che sarebbe ancora più disdicevole – come una “vendetta” finalmente consumata. L’approccio dovrebbe essere diverso nel giudicare una decisione che se ha prodotto entusiastiche approvazioni e rabbiosi dissensi è perché nel corpo vivo della comunità sannita (e credo nazionale) non si è ancora compiuto il “miracolo” della pacificazione.
In altri termini, credo che tutte le storie che hanno contribuito a costruire la nazione italiana debbano avere cittadinanza poiché è soltanto sull’accettazione delle memorie – quali che siano, belle o brutte, piacevoli o disdicevoli – è possibile cucire la trama di una comunità. Dunque, fermarsi all’apologia o alla condanna di Cosimo Giordano (vi sono personaggi ancor più rimarchevoli nella delibera che ha “sconvolto” la toponomastica cerretese), è un torto che si fa non tanto al sindaco Pasquale Santagata ed ai suoi collaboratori, ma alla storia della cittadina del Titerno nelle cui fibre vive una sorta di memoria che canta ed incanta come sanno coloro che la frequentano e ne restano ammirati.
Insomma, lasciare nell’oblio personaggi legati a fatti e gesta, per rincorrere fantasmi ingialliti e muti, estranei alla tradizione storica e culturale di una terra, fossero anche re e regine, lo considero un grave ostacolo sulla strada della restituzione ai cittadini di oggi e di domani di ciò che appartiene loro ed è stato dalle generazioni passate negato, sia pure senza malanimo, al fine di rendere omaggio all’Italia nuova dimenticando nel contempo quella parte dell’Italia che moriva in tal modo coperta dalla polvere dell’oblio e dalla rimozione di vicende che sarebbe sempre bene ricordare.
Mi viene in mente che il Sannio, autentica “nazione” tra le nazioni italiche, è talmente ricco di storia, memorie, culture che l’esempio cerretese dovrebbe essere seguito da tutti i comuni che hanno a cuore la preservazione delle loro identità. Ciò non vuol dire dedicarsi, con spirito di rivalsa, ad una ridicola opera di sostituzione dell’esistente in campo toponomastico, ma riscoprire ciò che giace dimenticato e riportarlo alla luce, facendolo vivere in pubbliche discussioni, mostre ben curate, pubblicazioni e celebrazioni al fine di riconnettere lo sviluppo del presente con la tradizione che si rinnova.
Non è certo questa la sede per ricordare le sedimentazioni culturali, etniche e religiose che hanno fatto del Sannio un giacimento di dimensioni difficilmente quantificabili che solo in parte è noto al di là della cerchia degli studiosi. Ma forse è il caso di mettere in moto una macchina culturalmente efficiente e civilmente appassionata che ari il passato per riconoscere la grandezza della “nazione sannita” (ed uso il termine “nazione” nel senso conferito al termine da Renan e da Volpe, solo per fare due nomi) nelle sue espressioni recenti e meno recenti, convinto come sono che se le radici gelano, non vi è futuro.
Per recuperare il senso di un’appartenenza evidentemente non basta cambiare i nomi alle strade e alle piazze. C’è bisogno di scavare in profondità, di riappropriarsi della propria storia, di conoscere personaggi travolti dalla tormenta delle inquietudini sociali, civili, culturali e sui quali è stato apposto il sigillo della damnatio memoriae. Oltre la toponomastica esiste, insomma, un universo da esplorare nel nostro Sannio.
Non è tardi per recuperare ciò che imprudentemente per tanto tempo è stato ritenuto irrimediabilmente perduto.
Attenti a non svegliare antichi odi che dormono.